A questa domanda ha provato a rispondere il Guardian, dimostrando come, influenzata da ragioni culturali, sociali e psicologiche, la gente continui a dare fiducia al candidato che la spara più grossa. E di come, il politicante di turno, sia perfettamente in grado di far leva sui fattori che influenzano la decisione.
Fattori culturali: gli elettori, di norma, sono poco competenti e ancor meno informati, e si lasciano attrarre più facilmente dalle banalità. Parole complicate e ragionamenti complessi allontanano il voto, mentre idee semplici, alla portata di tutti, conquistano l’elettorato, in particolar modo se si tratta di promesse plateali (“Un milione e mezzo di posti di lavoro”, assicurava Berlusconi) e vantaggi a breve termine (“80 euro in busta paga”, prometteva Renzi).
Fattori sociali: ognuno di noi è vittima di una serie di pregiudizi che ci portano a scegliere i candidati appartenenti al nostro “gruppo sociale”, che danno l’idea di poter impersonare l’uomo “della porta accanto”. Pare, ad esempio, che la qualità più apprezzata dagli elettori di George W. Bush fosse quella di trasmettere la sensazione di poter avere un rapporto diretto col Presidente in qualunque momento, di poter uscire a bere una birra insieme se si fosse presentata l’occasione.
Fattori psicologici: il modo di presentarsi dei politici influenza la decisione degli elettori. E’ risaputo, ad esempio, che le persone sicure di sé risultano più convincenti. Un altro elemento fondamentale è il sorriso, che conferisce credibilità e infonde sicurezza. In pratica è la tecnica applicata dai venditori di auto usate: un sorriso in ogni situazione. Al limite della paresi.
E, in quanto a “seconda mano”, i politici italiani sanno perfettamente come riciclarsi in eterno.
Peccato che, tra un “usato sicuro” di Bersani e una “rottamazione” di Renzi, in realtà il nostro Paese abbia solo bisogno di un Tom Tom.