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Perché Berlusconi deve e può vincere

Creato il 22 febbraio 2013 da Zamax

La sinistra ha vissuto i decenni della Dc, quelli del Pentapartito, e poi quelli di Berlusconi come un lungo interregno prima dell’avvento della «democrazia compiuta» e della cacciata dei mercanti dal tempio. Quest’idea balzana è stata interiorizzata da generazioni di italiani e ha avvelenato la storia del paese. E quest’idea, sommamente populista, messianica e anti-liberale, continua ancor oggi a costituire il nocciolo del pensiero politico della sinistra. Anzi, oggi sembra straripare, e si distingue all’interno della sinistra solo dal diverso modo di declinarla: «L’Italia giusta» di Bersani è l’involontario, pudico e ingenuo omaggio al giustizialismo rivoluzionario di Grillo o Ingroia. Uno che si crede intelligente, Nanni Moretti, l’ha ripetuta a suo modo alla vigilia di queste elezioni: «Spero che lunedì festeggeremo la liberazione di 60 milioni di persone ostaggio dell’interesse di uno che per sua stessa ammissione e dei suoi collaboratori ha cominciato a fare politica per difendere i suoi interessi economici e i suoi problemi giudiziari.» Per quelli come lui l’Italia non è mai stata «liberata». Ciò può significare due cose: o che questa pulsione sta per trionfare, o che sta per crollare nel suo ultimo rabbioso assalto. A dispetto delle apparenze, io credo che stia per crollare.

Questo pregiudizio morale nei confronti dell’avversario politico, che è la vera questione morale del paese da settant’anni, ha impedito una normale dialettica e un normale ricambio nella vita politica del paese. Mettere «la questione morale» a fondamento della politica ha significato per la sinistra fuggire dalla politica e negarla quindi anche agli avversari. Coloro che dall’altra parte dello spettro politico l’hanno blandita sono stati stolti, ingenui e più spesso vili. Risultato: l’immobilismo «giacobino» della sinistra ha impedito l’evoluzione politica di una destra costretta continuamente al «primum vivere». Altro risultato: la sinistra italiana è prima di tutto una grande setta e ciò spiega perché il potere immenso che ha sviluppato in tutti i settori della società sia inversamente proporzionale alle sue fortune politiche. Ed è per questo che un suo eventuale trionfo politico avrebbe il sapore di una «resa» da parte di un paese sfiancato.

L’anomalia della sinistra italiana deriva da questo: una parte dell’Italia fascista non ha mai riconosciuto di aver perso la seconda guerra mondiale. Il paese non si è ritrovato unito nella sconfitta, e nella vergogna, come è successo per il Giappone o per la Germania. Il biennio che va dall’armistizio alla liberazione da parte degli Alleati consentì all’Italia più in consonanza col regime di cambiare casacca, da nera a rossa, e di immaginarsi «vincitrice morale». Colpevolizzare preventivamente la controparte politica e «l’altra Italia» divenne necessario per nascondere le proprie colpe e per tenere viva l’impostura: «l’Italia onesta», «l’Italia democratica» o «l’Italia migliore» sono solo manifestazioni di quest’impostura. Da questo odio di massa non siamo mai interamente usciti.

L’odio implacabile verso Craxi e Berlusconi deriva da questo: essi, sul piano storico, hanno rappresentato il tentativo di normalizzare ed europeizzare la sinistra e la destra, con buona pace degli osservatori superficiali. Il primo tentò di riportare la maggioranza della sinistra sul binario socialdemocratico, ma se ciò da un lato era praticabile sul piano delle idee in campo sociale ed economico, dall’altro richiedeva la rimozione del pregiudizio giacobino, e lo smascheramento dell’impostura. Berlusconi invece sta ancora lottando per uscire dall’equivoco del «centrismo» dei «moderati» italiani, che dell’anomalia della sinistra è una conseguenza. Il fatto che la sinistra neghi con furore che il centrodestra berlusconiano sia una destra normale significa che per il nostro paese lo è, e che essa tenta di allontanare da sé lo spettro della propria normalizzazione.

La sopramenzionata normalizzazione della vita politica italiana è la prima delle riforme e il presupposto di tutte le riforme. E’ la vera riforma morale, perché si fonda sulla verità, spegne gli odi, rafforza il sentimento morale della nazione, e perciò anche il senso civico. Chi scommette sulla legalità, sulla cultura, sull’istruzione, o sulle mitiche, ed inesistenti, «classi dirigenti», è un pio illuso. Sono cose che vengono dopo. E a ben vedere l’evidenza empirica dimostrerebbe proprio il contrario, e cioè la tendenza della gente più acculturata, in tempi di democrazia, a flirtare col peggio. Invece è proprio quando una nazione è veramente più solidale, quando è meno accecata dallo spirito di fazione, che il «volgo» ha la serenità – non la competenza, che non avrà mai, cari liberali che vivete fra le nuvole – di vederci chiaro, che le chiusure corporative vengono meno, e che la fiducia spinge a guardare tutti quanti un po’ più lontano.

Quante sono le probabilità che il centrodestra vinca le elezioni? Io dico: molte. Ho scritto varie volte che un partito si giudica dal suo potenziale, non dalle armate dei militanti. Quanti sono i partiti che in Italia fanno politica? Io dico: tra i grandi solo uno, il Pdl. La sinistra, in tutte le sue forme, è ferma alle sue pregiudiziali antropologiche e all’elogio farisaico di sé: questa non è politica, non porta libero consenso, non trasmette un sereno ottimismo, e la gente quando non lo capisce lo sente, e ne ha perfino paura. Il centro non fa politica perché non offre, ai suoi elettori, prospettive politiche. Rimane il «partito di plastica», l’unico partito che abbia un senso, vi piaccia o no. E tu puoi cercare di irretire la maggioranza silenziosa finché vuoi, coi tuoi ragionamenti e con i tuoi anatemi, ma essa nel suo piccolo «resiste». E poi vota.


Filed under: Italia Tagged: Elezioni 2013

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