Il Cristianesimo vede se stesso (parlo ovviamente da un punto di vista cristiano) come il compimento dell’Ebraismo. Per il Cristianesimo l’uomo è prima di tutto – dogmaticamente – figlio di Dio. L’appartenenza alla propria famiglia, alla propria tribù, alla propria nazione viene dopo, ma attenzione, non viene rinnegata: Dio non annulla Cesare. Sul piano sociale due sono le conseguenze fondamentali di tale concezione dell’uomo: l’altissima dignità della persona, l’anelito alla libertà, e la fratellanza universale. Tale elemento universalistico era già presente nell’Antico Testamento: il Nuovo Testamento lo portò definitivamente alla luce. L’Occidente è così impregnato di Cristianesimo che tutte le ideologie o le filosofie anticristiane di portata politica che si sono succedute negli ultimi secoli hanno recato in sé il marchio dell’universalismo cristiano. L’illuminismo l’ha interpretato attraverso la “religione” dei liberi muratori o la “religione” dei diritti umani che oggi va per la maggiore; il socialismo ha pensato di realizzarlo. Sono tutte caricature del Cristianesimo di stampo millenaristico: il loro orizzonte è terreno. Persino i totalitarismi di destra, che pure rinnegano per principio l’universalismo, ne conservano traccia: dentro la razza o la nazione, infatti, regna l’egualitarismo socialista.
La civiltà cristiana si propaga indirettamente nel mondo non cristiano anche attraverso le ideologie anticristiane nate in occidente. Il comunismo, per esempio, benché violentemente antireligioso, reca in sé l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini (ancorché, nei fatti, spesso, un’uguaglianza da schiavi): si pensi all’impatto di questa idea su una società tribale o da millenni divisa in caste. L’incontro del Cristianesimo col paganesimo o dell’Occidente col mondo non cristiano non è mai uno scontro antropologicamente frontale. Infatti, per così dire, solo in un mondo che ha conosciuto Cristo può spuntare l’Anticristo: solo lì lo scontro può essere frontale. Ma certo è traumatico: il Cristianesimo “desacralizza” ogni istituzione terrena. Ossia la consegna al secolo: la secolarizzazione è figlia del Cristianesimo. Mentre purifica l’idea di Dio. Nel mondo greco-romano, che pure era il terreno più favorevole all’impiantarsi del messaggio cristiano, i cristiani stessi furono spesso sentiti come “atei” e “dissacratori”.
In questo quadro l’Islam viene a trovarsi in una posizione unica nei confronti del Cristianesimo. Mentre infatti, come spiegato sopra, il problematico, conflittuale, ma anche fecondo incontro del Cristianesimo col mondo “pagano” – pagano ma pur sempre ammaestrato da quel Logos che fu fin da principio – non si risolve mai in uno scontro frontale; mentre l’Ebraismo, non avendo voluto, per così dire, “conoscere” Cristo, rimane in attesa e lo scontro viene evitato; l’Islam è l’unica grande religione monoteista post-cristiana. Dal Cristianesimo ha preso l’idea universalista e l’idea della Rivelazione definitiva. Ma nonostante ciò l’Islam – tanto è pasticciato, confuso, incompiuto – conserva uno spirito veterotestamentario, nel senso negativo del termine, che se lasciato a se stesso potrebbe anche condurre il musulmano a riposare – farisaicamente, per dirla con Vangelo – la propria coscienza nel solco della legge o del precetto, tranquillamente, a casa sua. Ma l’elemento universalista non glielo permette. Da questa contraddizione nascono le tensioni cicliche dell’Islam. Ora che l’universalismo proprio della civiltà cristiana – che distingue la prospettiva terrena da quella ultraterrena – si è propagato ai quattro angoli della terra, la tensione nell’Islam è al massimo. E’ il suo incompiuto universalismo che è messo alla prova: anzi, smascherato. Di qui la necessità dello sfogo millenarista, di realizzare perfettamente l’universalismo là dove ciò non è possibile: sulla terra. E’ per questo che il radicalismo islamico oggi somiglia per molti versi a quei totalitarismi che solo in una civiltà cristiana o occidentale sono concepibili.
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