Perché dobbiamo guardare con preoccupazione alla situazione economica attuale

Da Pukos

Uno dei concetti che ormai vengono accettati come naturali ed addirittura fisiologici in economia, riguarda i cosiddetti “cicli economici”, ossia quel susseguirsi di momenti di forte espansione intervallati da periodi depressivi.

Siamo “rassegnati” a questi eventi, si dice che … è sempre stato così … e quindi, quando ci troviamo di fronte a ricorrenti crisi, siamo portati a dire … passerà.

Dimenticando che le “piccole” crisi sono state superate, seppur non in maniera indolore, con sopportabili sacrifici, mentre le “grandi” crisi hanno avuto il loro epilogo solo con sanguinose guerre.

E’ opinione diffusa, ma ormai direi quasi una verità condivisa, che la seconda guerra mondiale altro non sia stata che il terrificante epilogo della crisi economica del ’29.

In effetti tutti gli anni ’20 cioè quelli post Prima Guerra mondiale, per gli Stati Uniti, non intaccati dalle distruzioni belliche, furono anni in cui si verificò uno straordinario boom economico, tanto per intenderci, sono gli anni del Charleston un ballo “gioioso” e spensierato che metteva per la prima volta a nudo le gambe delle donne. Finché nel ’29 …

Contemporaneamente, però, in Europa non ce la passavamo così bene, in un’Italia allo sbando dopo la guerra “vinta”, avevamo finito per dare il governo a Mussolini, in Germania, invece non si era imposto un partito totalitario, ancora nel 1928, infatti, i nazionalsocialisti tedeschi non avevano alcun rappresentante nel Reichstag, ne furono eletti oltre cento soltanto nel 1930 che diventarono quasi 300 nel 1933 quando andarono al governo.

E cosa determinò quel “boom” elettorale del partito di Hitler? Semplicemente il fatto che dopo gli anni dell’iperinflazione, dal 1919 al 1923, dovuta ad un’espansione incontrollata della spesa pubblica, quando si dovette intervenire e stringere i cordoni della borsa, perché la situazione era ormai diventata ingestibile, si finì per incappare nel problema opposto, ma non meno grave, e cioè quello della recessione e della deflazione.

E con un effetto collaterale socialmente devastante, cioè l’esplosione della disoccupazione. In questi casi, con l’economia privata al collasso e quel poco che rimane dipendente dalla spesa pubblica, i cosiddetti “valori” assumono diverse priorità, le persone accettano di sacrificare la democrazia e finanche la propria libertà in cambio di una sicurezza economica e sociale.

Ed ecco così spiegate le dittature.

Trovate qualche analogia con i tempi che stiamo vivendo?

Tutto ciò, quindi, non rappresenta una novità, tutto ciò è già stato descritto da Friedrich Von Hayek nel suo capolavoro “La via della schiavitù” settant’anni fa.

Chi era Friedrich Von Hayek? Uno dei più grandi economisti di tutti i tempi, premio Nobel nel 1974, forse l’esponente più importante assieme a Ludwig Von Mises della cosiddetta Scuola Austriaca.

In pratica furono i primi economisti che misero in evidenza le aberrazioni delle teorie marxiste alle quali loro sono antitetici.

Semplificando enormemente alcuni concetti, per la verità più complessi, gli economisti austriaci, che, detto per inciso dovettero fuggire dalla Germania nazista per assoluta incompatibilità, attribuiscono la causa di questi cicli economici all’intervento diretto nell’economia delle Banche Centrali che in questo modo distorcono il mercato creando “boom” e “sboom” immettendo o togliendo liquidità nel sistema.

Per questo propongono che le autorità politiche e soprattutto quelle monetarie, si astengano dall’intervenire direttamente in campo economico lasciando che sia il mercato con la sua legge principe, semplice ed ovvia, ossia la cosiddetta “legge della domanda e dell’offerta” a trovare in ogni momento un proprio equilibrio.

In questo modo la crescita sarebbe moderata, ma continua, e sarebbe data semplicemente dal miglioramento dell’efficienza dovuto al costante progresso dell’umanità.

Un mondo ideale ed utopistico quindi? Forse sì, perché toglierebbe ai politici ciò che essi desiderano sopra ogni cosa: il potere.

Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro


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