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Perché dovevi registrare un vinile negli anni ’80?

Da Sullamaca

Teac Tascam 4 piste portatileRileggendo le interviste ai musicisti e ai fanzinari dell’underground musicale italiano, mi chiedevo che avventura era la registrazione di qualche traccia sonora negli anni ’80.
Produrre un supporto fonografico (vinile o cassetta audio) e poi che farne?
Chissà che impressione riuscire ad entrare per la prima volta in uno studio di registrazione, mentre il più delle volte si ricorreva ad un amico con gli apparati di recording come i Teac, registrando nel garage dove si provava con il gruppo.
E come facevano a racimolare i denari per pagare le sessioni di registrazione per il vinile? Come fare per promuoverlo?
Scegliere di fare tutto da soli (do it yourself) e venderlo nei luoghi dopo aver suonato per un concerto?
Oppure trovare dei distributori indipendenti o appoggiarsi alla rete dei circuiti delle fanzine e dei centri sociali? Aiutava essere recensiti da qualche rivista musicale?
Perché tutta questa urgenza ed agitazione per registrare un vinile?

Sicuramente è più facile registrare con le tecnologie odierne, la rete internet facilita la conoscenza e la condivisione della musica prodotta, però facciamoci raccontare le storie di chi negli anni ’80 ha prodotto musica indipendente in Italia.

Ecco le parole di Tony Face dei Not Moving, di Vittore Baroni (Trax, mailart ecc.), di Paolo Cesaretti della fanzine FREE e delle Industrie Discografiche Lacerba, di Fox dei Plasticost e di Alessandro Limonta della fanzine VM.

Antonio Bacciocchi “Tony Face”, Not Moving

Not Moving - Movin' Over 7Negli anni ’80 ho sempre avuto la fortuna di usufruire della produzione della produzione di etichette e di non dovermi mai avvalere dell’autoproduzione. In realtà il concetto di etichetta indipendente ai tempi era circoscritto, nella maggioranza dei casi, alla buona volontà di un singolo che investiva due lire nella stampa del disco e provvedeva ad un minimo di promozione (niente altro che l’invio del vinile ad un po’ di giornalisti in epoche in cui le riviste specializzate che si occupavano di un certo tipo di musica si contavano sulle dita di una mano e le fanzines di un certo rilievo erano altrettanto poche). Con un ulteriore invio alle rare radio che avevano programmi specializzati per la musica cosiddetta, ai tempi, alternativa o underground la promozione era completata. La necessità di registrare un supporto non era differente da quella di oggi: trovare concerti attraverso la notorietà acquisita dalle recensioni. Le cifre di vendita erano sensibilmente diverse e arrivare alle 1.000 copie non era certo una chimera o un successo ma la regola. Con la mia Face Records, nata nel 1989, le caratteristiche furono le stesse: iniziativa di un singolo, una vaga linea artistica, aspettative, improvvisazione, buona volontà a valanga, spedizioni improbabili, soddisfazioni (rare quelle economiche ma nemmeno riscontri disastrosi) e tanto impegno logistico. Per stampare un vinile dovevi far fare gli impianti da un grafico, portarli ad una stamperia specializzata in copertine a Milano, ritirarle e portarle a chi stampava il vinile, insieme ai cerchi in carta da applicare all’interno del vinile. Ovviamente bollinati dalla SIAE (a cui dovevi provvedere).
Era un lavorone ma anche molto eccitante, soprattutto quando ti consegnavano gli scatoloni (una decina da 100 vinili l’uno) che sapevano di carta e inchiostro.

Vittore Baroni, Trax
Il memo spese di Trax 1981 a cura di Vittore Baroni.

Il memo spese di Trax 1981 a cura di Vittore Baroni.

Paolo Cesaretti, FREE e IDL Industrie Discografiche Lacerba

IDL Industrie Discografiche Lacerba logo 1988L’unica risposta che ritengo plausibile è la voglia di condivisione e, perché no, di protagonismo.
Il desiderio di dire “Ecco, ci sono anch’io“.
Poi il cerchio si allarga, altri si appropriano dell’idea e del messaggio, ci aggiungono qualcosa.
Si forma una scena, ci si riconosce, si crea cultura …

Fox, Plasticost

Che guaio quando ci accorgemmo che non bastava trovarci solo per suonare le nostre canzoni, anche perché non c’erano così tanti posti dove esibirci dal vivo, tutt’altro! Un amico comune vendeva un Teac M-144 a 4 piste, così lo comprammo, indebitandoci all’epoca per una cifra folle, tanto che non ci permettevamo nemmeno un caffè al bar.
Plasticost mini lpFu questa diavoleria che allungò l’esistenza del gruppo, quando ci mettemmo a registrare e quindi ad avere una specie di memoria esterna che documentava il nostro lavoro. Era un obiettivo, che ancora oggi fa parte del mio modo di concepire la realizzazione di un progetto. Documentare e quindi poter dire fine ad un lavoro è fondamentale, non tanto per riascoltarlo, ma proprio per passare ad altro, sia che venga presentato ad un’esposizione che messo in rete. Poi, se nessuno se ne accorge, non importa. E’ importante lasciare un po’ di spazio alla mente per dedicarsi a “nuove avventure”.
Il Teac fu terapeutico per i Plasticost. Smanettavo di continuo, manipolavo i suoni senza nessuna preparazione tecnica (che ancora oggi non ho). Fu il nostro strumento nascosto, in estate me lo portavo a casa e trascorrevo le notti a sperimentare cose. Poi, un bel giorno cedette. Giornata triste, ma in compenso cominciarono a farsi notare i primi computers. Quando andammo in studio per registrare il primo disco ci trovammo davanti a questo enorme banco coperto di bottoni,manopole, cursori e led. La prima cosa che mi chiesi fu “ma cosa serve tutta sta roba?” 4 piste bastavano per tutto. Si, ci sarà stato un bel po’ di vento in sottofondo a causa delle decine di premissaggi, ma a chi importava? Poi cominciarono i guai. Dovevamo suonare perfettamente le nostre parti, ed i missaggi ci fecero ascoltare centinaia di volte le canzoni, tanto da odiarle. La notte del missaggio finale alcuni di noi erano ubriachi, c’era chi giocava a Space Invaders, qualcuno tentava di dormire. Per fortuna l’unico lucido fu Renato Cantele, il fonico, che salvò la situazione da un disastro umano collettivo.
Alle 7 di mattina tornammo a casa, ma alle 8 dovevamo essere al lavoro.
Fu dura.
Con il disco in mano iniziarono i concerti, si creavano una catena di conseguenze: disco-concerti-radio-giornali-disco-concerti-radio-giornali e così via. Fu divertente, e fu un’esperienza riuscire ad ultimare la produzione i un vinile. Ci aiutò Aldo Filippin del Discotape, un negozio di dischi di Marostica. Era per noi un punto di riferimento, dove bivaccavamo per ora trascorrendo il tempo a parlare di musica. Accidenti, non voglio rubare spazio ad altri, quante cose ci sarebbero da raccontare …

Alessandro Limonta, fanzine VM

“Gli anni ’70 mi piacciono perché c’era un sacco di gente che ascoltava vinili.
O forse sono i vinili che mi piacciono perché c’era un sacco di gente che li ascoltava negli anni ’70.”
“Due ciminiere e un campo di neve fradicia qui è dove sono nato e qui morirò”

La prima citazione è del blogger SHRC/Saluzzishrc, e mi serve per introdurre l’argomento.
La seconda è un po’ più famosa, è l’inizio di “Padania” degli Afterhours, mi servirà più avanti.

Negli anni ‘70 non si ascoltava “il vinile”. Si ascoltavano “i dischi”, che erano disponibili su supporto fonografico in vinile o nastro, ma nessun appassionato serio comprava le cassette … Si comprava il disco e si duplicava su cassetta per gli usi “mobili” e la condivisione. (Cioè, esattamente come adesso con gli mp3, ma allora con media diversi e di qualità decisamente più scarsa) Ma nessuno ascoltava il vinile: si ascoltava la musica, che era venduta memorizzata su un disco. Punto. Non c’erano altri modi.
Nel 1982 è uscito commercialmente il cd. Che però costava una botta, tipo il triplo di un disco in vinile. E un lettore cd costava da solo come tutto il tuo impianto stereo, faticosamente (ahem) assemblato tra compleanni, regali di promozione e mance dei nonni. Per tutti gli anni ‘80 e i primi anni ‘90, la situazione non è cambiata molto. Il cd era un giochino per audiofili, e questo spiega perchè gli audiofili hanno nel frattempo dovuto cambiare idea: è contrario alla loro filosofia avere qualcosa che non si può “milgiorare”. Tecnicamente o patafisicamente: visto che per loro la musica non conta, hanno bisogno di avere qualcosa di sempre nuovo, che non possono che essere i media o le apparecchiature per riprodurla. Gli appassionati di musica, cercano il nuovo nella musica.

Questo per togliere la componente romantica che oggi vedo troppo spesso associare al vinile. Che è un po’ come rimpiangere i gettoni e le cabine del telefono di fronte alla comodità dei cellulari. Dopo i primi anni ‘80 i cd hanno cominciato ad avere prezzi accessibili anche per i normali umani, e l’assortimento dei titoli disponibile in cd ha cominciato a superare quello dei titoli in vinile. Il mondo della ditribuzione di musica registrata è cambiato a partire da lì e dall’invenzione degli mp3, resa possibile proprio dalla diffusione dei cd. Ma questo è un discorso che ci porterebbe da un’altra parte, magari un’altra volta.

Torniamo agli anni ‘80, quando le strade possibili erano due: disco in vinile o cassetta, punto. La cassetta permetteva produzioni economiche in tirature limitate, il vinile era decisamente più costoso e richiedeva una tiratura più sostanziosa. Io, con la fanzine VM, ho fatto cinque cassette e un lp doppio. In condizioni retrospettivamente pazzesche.

Mi chiedi “come”. Forse l’ho già raccontato, comunque: per il primo nastro, quello degli Underground Life, 100 copie: abbiamo fatto tutto “in casa”. Il mio registratore era collegato in cascata ad altri quattro registratori recuperati dagli amici che ne avevano uno. Con 25 play abbiamo doppiato le 100 cassette, un lavoro assurdo. Oltretutto con il “master” fatto in casa a partire dalle cassette originali degli Underground Life, però su cassetta metal … Vuol dire che le copie vendute avevano una cassetta di terza generazione, dal punto di vista della fedeltà un cesso di roba, che un mp3 a 128kbps al confronto è altissima fedeltà esoterica.
Per il secondo nastro abbiamo cercato una soluzione migliore, grazie ai contati creatisi nel frattempo, soprattutto con i Weimar Gesang, abbiamo fatto una duplicazione “professionale”: 200 cassette e master in studio. Il master in studio veniva da un master tape a bobina dei Plastic Trash e, per i Weimar, due pezzi registrati in sala prove su 4 tracce dal master su cassetta, un pezzo live da cassetta e uno da master 2 track a bobina registrato nello studio 8 piste di un altro amico, a prezzo di favore. Purtroppo la cassetta usata nella duplicazione era di qualità inferiore alla media, si rompeva molto facilmente il feltrino su cui si appoggiava la testina del registratore.
VM numero 5 fanzine con doppio vinileNumero tre e quattro, altro studio di duplicazione ancora un po’ più professionale, nelle sperdute lande della brughiera milanese verso Linate: le ciminiere e il campo di neve fradicia degli Afterhours, ovvero il ritratto perfetto della zona a sud-est di Milano, allora come oggi.
Trecento copie per entrambi i numeri, tutte da master 2 tracks se ricordo bene, eccetto i pezzi dei Janitor of Lunacy, registrati su 4 tracce nella loro sala prove, dove erano stati registrati anche i due pezzi dei Weimar Gesang (e il 4 piste era dei Weimar, il mitico Teac 244).
Poi il numero cinque, con la “folle” scelta del formato lp, e per giunta doppio. C’era forse la voglia di stupire, forse l’incoscienza, forse non lo so più. Tutto veniva da master 2 tracks più che decenti, il master l’abbiamo fatto presso gli studi Regson di Milano di Via Ludovico il Moro, sul naviglio, con la sala di ripresa principale che veniva usata per registrare l’orchestra della Rai di Milano, un posto enorme e pieno di storia (presso il quale in seguito avrei masterizzato anche il primo cd dei Mother of Loose) Poi la produzione di 600 copie, sempre in un posto sperduto tra ciminiere, neve e nebbia. Nel mezzo c’erano le gite alla SIAE in Foro Bonaparte per avere stampato il bollino sulle copertine delle cassette e sulle etichette dei dischi, il tutto all’epoca a costo zero perchè nessuno era iscritto alla SIAE.

Mi chiedi anche “perchè”.
Perchè ci piaceva poter ascoltare, prima ancora che far ascoltare a chi avesse comprato la fanzine, quei gruppi lì. Con VM, per quanto ricordo io, siamo stati tra i primi in Italia ad allegare una casetta alla fanzine. Certo, c’erano già state Rockgarage e Free, ma loro erano più professionali e allegavano il vinile. Dopo VM ci sono state tantissime altre raccolte in cassetta allegate alle fanzine, da Komakino a Zero Zero ad Amen per rimanere in ambito milanese. Sono arrivate dopo di noi, è una cosa che mi rende un pelino orgoglioso ancora oggi. (Nel caso mi sbagliassi, e la raccolta su cassetta fosse già comune, vabbè, vuol dire che mi ricordo male. Ma è colpa dell’età …)

VM 5 Vinile labelNaturalmente ora sembra preistoria, ma non esisteva nessun altro modo per far circolare la propria musica che produrre un supporto fisico, con le inevitabili conseguenze in termini di costi di produzione e distribuzione.
Oggi, quando ascolto un qualsiasi prodotto disponibile sul web, mi stupisco sempre di quanto suoni bene. Con un computer e un microfono si possono fare cose negli anni ’80 potevi solo sognare, e con una qualità che all’epoca non potevi nemmeno sognare.
La maggior parte dei demo-tape e delle compilation su cassetta allegate alle fanze era di qualità appena appena ascoltabile, e anche allora ci voleva un sacco di buona volontà per farlo. Già i dischi dell’epoca, registrati nei più economici studi a 8 piste (che già erano da sogno, eh!) a riascoltarli adesso rivelano tutte le loro mancanze “tecniche”, dai suoni alla dinamica alla produzione.
Anche questo detto per quelli che rimpiangono le magie del vinile e del suono analogico.
Certo, i Rolling Stones andavano in studi da qualche milione al giorno e lì ottenevano un suono da paura, ma un computer di oggi offre possibilità che negli studi da qualche milione al giorno non esistevano. Esistevano altre cose: altissima qualità delle apparecchiature e dei microfoni, altissima professionalità dei tecnici.
Ma negli studi in cui andavano i gruppi della new wave italiana (per chi riusciva ad andarci), non c’era quasi nulla di tutto ciò.
Ci sarebbe stato più avanti, quando ad esempio al Bips di Milano venivano registrati da Paolo Mauri quasi tutti i dischi che contavano della “scena alternativa” di Milano.
Ma qui stiamo già parlando di anni successivi, dal 1988-1989 in poi.

Riferimenti

Grazie al Sig. Desbela


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