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Perché dovremmo ringraziare la Nazionale per la sua sconfitta.

Creato il 26 giugno 2014 da Sdemetz @stedem

Brasile 2014 - Italia allo specchio - foto di Non è che nella partita contro l’Uruguay ci siamo arrabbiati tanto perché ci siamo visti allo specchio?

Mi colpisce sempre seguire le onde emotive che segnano le nostre reazioni ai successi e agli insuccessi sportivi. Ricordo i tempi di Alberto Tomba: i deliri di una nazione. Non ho però nemmeno dimenticato, come alle sue prime débâcle quella stessa nazione lo aveva abbandonato.

La stessa cosa è accaduta nel giro di poche settimane in Brasile. L’Italia contro l’Inghilterra era la squadra che ha giocato con il cuore, un Italia mondiale, un Balottelli eroe. E le macchine giá scorrazzavano suonanti per le strade delle città. Poi, primo choc contro il Costa Rica e infine la caduta pochi giorni fa. E i toni nei giornali e nei commenti al bar sono cambiati drasticamente. Una vergogna, stipendi troppo alti, ragazzi viziati, lavorare è un’altra cosa e così via. Prima: grande amore, poi un respingimento altrettanto estremo. È un paese schizofrenico il nostro? O forse la verità è che vedendo quell’Italia ci siamo visti allo specchio e ci siamo spaventati?

Tanti sono stati i dibattiti su quella sconfitta come immagine di un paese che non c’è.

E ci ho pensato pure io, se buttarmi anch’io nella mischia o lasciar perdere. Alla fine ho deciso: mi affaccio a questo mischia con due considerazioni.

La sconfitta vissuta da italiana

Forse questa sconfitta ci ha fatto bene.

Se avessimo vinto, ci saremmo dimenticati che in questo paese le cose non vanno per nulla bene e forse, con un po’ di arroganza e di presunzione avremmo concluso che in fondo, noi italiani, siamo i migliori. Non che questa sconfitta sia imputabile al sistema paese, per carità. Ma certo le cose non avvengono mai per caso.

E allora questa sconfitta sembra davvero un po’ lo specchio di un paese, che entra in campo per pareggiare e non per vincere, che non combatte, non si rimbocca le maniche, che è slegato. Facili, fin troppo facili metafore, mi rendo conto.

Eppure sono anche utili metafore. Perché se da un lato ci si dice che dobbiamo guardare al futuro e che un po’ di ripresa forse c’è, pigramente forse abbiamo pensato che supereremo tutto questo con leggerezza, senza fatica. E invece non è così. Se avessimo vinto ci saremmo dimenticati che la rinascita di questa nazione impantanata sta solo nel lavoro serio, duro, nelle persone brave al posto giusto, e che soprattutto la ripresa dipende anche da noi, non solo dal “mister”. Possiamo prendercela con con un arbitro (l’Europa?) o con Suarez (la Merkel?), ma se non ci mettiamo a lavorare sodo, la nostra bellezza, la nostra creatività, il nostro sole e il nostro cibo buono non saranno sufficienti a salvarci. Né il nostro Rinascimento (leggi: vittoria del 2006).

Ed ecco che ce la prendiamo con questi ragazzi strapagati perché ci hanno deluso. Hanno rotto il sogno. Ci hanno fatto vedere la realtà. Ce l’hanno sbattuta in faccia con la loro indolenza. La nostra stessa indolenza che ci porta a non avere metodo nel lavoro. Esempi banali, banalissimi? Non rispondiamo alle mail. Ci cercano e noi non richiamiamo. Teniamo in sospeso persone e risposte. Per firmare un contratto ci mettiamo mesi e mesi. Non paghiamo chi lavora per noi. Arriviamo tardi agli appuntamenti. I processi decisionali sono contorti e infinti e alla fine, quando finalmente decidiamo è troppo tardi. E ci lamentiamo di continuo. Ma noi, noi, quando lavoriamo, come lavoriamo? Con metodo? Diamo precedenza alle competenze o agli amici? Paghiamo il giusto le persone? Elaboriamo solide strategie o cavalchiamo l’onda? Ripeto, le similitudini trovano il tempo che trovano, ma mi chiedo perché ce la prendiamo tanto con la Nazionale, quando nel nostro quotidiano al lavoro ci comportiamo allo stesso modo? Dovremmo forse ringraziare questa squadra perché ci ha fatto vedere come siamo noi. Certo, senza i loro milioni di euro, ma il punto non è questo. Se un lavoro è fatto bene, molto bene, è giusto che sia pagato.

Quindi: ben venga questa sconfitta, a patto che da essa impariamo a non essere come quella squadra. A patto che puntiamo il dito verso noi stessi e decidiamo di diventare un macchina da guerra che lavori seriamente e lo dimostri ogni giorno, fin nelle piccole cose, anche solo nel rispondere a una mail in tempi decenti.

La sconfitta vissuta da organizzatrice di eventi sportivi.

Questa sconfitta ha evidenziato un altro aspetto che riguarda invece il tema sport. Anche su questo tema si è dibattuto molto. Radio Tre ha dedicato una trasmissione (Tutta la città ne parla) alla quale ho partecipato anch’io (se vi interessa potete scaricare il podcast qui).

Di nuovo, allo stesso modo appare uno specchio: quello di una nazione sportiva priva di strategie nella crescita di giovani atleti, priva di educazione allo sport, povera di competenze manageriali, debole nel marketing oltre i diritti TV. Il focus è soprattutto dentro gli stadi. La frustrazione ormai è tale che guardiamo alle squadre estere (Manchester e Bayern) con uno stato di ansia, di fretta, di consapevolezza dei nostri ritardi.

Ebbene, di nuovo una sconfitta, allora, che può essere affrontata con un grazie, perché ha evidenziato che in realtà non tutto è perduto e che molto, davvero molto, si potrebbe fare. In fondo, non è bello stare in un paese in cui c’è ancora molto da costruire? Il tema degli stadi, della vita dello spettatore, della conversione della giornata della partita in un giornata di intrattenimento e festa è più attuale che mai.

Un tema che a me sta molto a cuore e i miei lettori lo sanno perché ne ho scritto più volte.

Non sanno però che quando avevo seguito un master anni fa al Sole24Ore, avevo proprio fatto la tesina su questo tema (tesina da master part time, sia chiaro!). Perché il fatto è che investire nello stadio, significa aumentare anche il cash flow oltre che portare valori diversi sugli spalti. Sono soldi immediati che portano gli spettatori. E le statistiche delle altre società mostrano come davvero questa sia una buona strategia per non dipendere solo dai diritti TV.

Non vi tedio con cose giá scritte più volte, ma ecco, se ci fosse l’interesse, questi sono i post in cui ho trattato il tema.

Spettatori, calcio e strategie negli stadi

Management, sport, made in Italy

  • Perché non è il business il vero nemico dello sport
  • Al servizio di una sedia, ovvero lasciamoci influenzuare dal design italiano
  • La bellezza del gesto atletico richiede osmosi al management
  • E se rinunciassimo a voler vincere?
  • La gestione dello sport tra parole e disegni

 

Immagine: Pinocchio_Rome / Steven StevenC_in_NYC-Flickr

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