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Perché è difficile indignarsi quando è pronto in tavola

Creato il 15 giugno 2011 da Frankezze

Perché è difficile indignarsi quando è pronto in tavola
Ben prima che girassero i coglioni a tutto il Nordafrica, ben prima che i giovani spagnoli scendessero in piazza tutti indignados, mia moglie compilava ogni giorno il suo quaderno di doglianze. Indignatissima era, ed è.

Ingenerosa, verso questo Paese. Lo ha detto anche Giulio Tremonti, il commercialista della Nazionale, che non bisogna andare in giro a parlar male dell’Italia.

Certo, i criteri di selezione della classe digerente (non è un refuso, bellezza) sono quelli che sono. Gli sprechi, la sopraffazione, l’approssimazione, la cialtroneria. Il traffico, i tassinari, i parcheggiatori. Interi pezzi di Paese dove l’unica cosa organizzata è il crimine organizzato. Altri pezzi di Paese che hanno parvenze più rispettose dei parametri di Maastricht, ma dove la sera in strada non c’è nessuno: sono tutti chiusi in casa a pianificare l’omicidio del vicino.

Ma quest’Italia nostra qualcosa di buono ce l’ha: il contropiede, la capacità di ribaltare il risultato quando tutto sembra perduto, una grande tradizione di numeri 10 che cambiano le partite, da Peppino Garibaldi a Roberto Baggio. E di mediani pronti al sacrificio, da Enrico Toti a Lele Oriali.

Poi una importante cultura del prosciutto crudo, una capacità di proteggere le mozzarelle dai veleni della cattiva politica (come questa bufala dallo sguardo malandrino che mi promette felicità dal banco frigo). Infine, quella sana attitudine a comporre i contrasti seppellendoli sotto sperlonghe di idrocarburi e pummarola; e affogandoli dentro litrate di vinaccio.

E il naufragar m’è dolce, in questo mandolino.


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