
L’acquisizione del pacchetto di maggioranza del settimanale portata avanti da John Elkann – che già siede nel consiglio di amministrazione – permetterebbe di sviluppare il progetto di internazionalizzazione iniziato con la creazione di FCA. In quest’ottica gli Agnelli – che già sono proprietari de La Stampa e hanno ampie quote in Rcs editore del Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport – potrebbero allargare la propria influenza anche nel mercato mondiale. Anche perchè i numeri di The Economist sono notevoli. Secondo i dati diffusi da The press gazzette – la rivista inglese edita dal 1965 e specializzata nel mondo del giornalismo – ogni settimana The Economist è letto da 5.3 milioni di persone di cui più di 4.5 milioni per l’edizione cartacea. L’audience negli Stati Uniti è pari a 3.389.433 milioni, in Inghilterra i lettori sono 501.343 e in Europa 648.959, senza contare i paesi asiatici in cui i lettori superano il mezzo milione. La circolazione del settimanale invece, tra l’edizione cartacea e quella digitale, supera il milione e mezzo di copie. Numeri che susciterebbero l’interesse di qualsiasi editore tanto che i principali colossi dell’editoria mondiale si sono fatti avanti per l’acquisto delle quote di The Economist: da Axel Springer a Bloomberg a Reuters-Thompson. L’interesse suscitato dalla vendita del Financial Times e l’importo investito per l’acquisto di una testata che, seppur fortemente sviluppata sul digitale, continua ad avere nell’edizione cartacea la sua principale attività, sono sintomatici del valore che i giornali cartacei continuano ad avere nella società contemporanea. È un piacere poter contraddire la dichiarazione dell’editore del New York Times Arthur Sulzberger rilasciata nel 2007 al quotidiano isrraeliano Haaretz: “Non so davvero se stamperemo ancora il Times tra cinque anni, e, se vuole proprio saperlo, non me ne importa nulla. Internet è un posto meraviglioso e noi lì siamo leader”, una frase fortunatamente errata ripresa nel libro “L’ultima copia del New York Times” di Vittorio Sabadin edito nel 2007 da Donzelli. Nel mercato editoriale anglofono – che solitamente anticipa di qualche anno le tendenze di quello italiano – dopo gli anni terribili della crisi che hanno portato a un calo vertiginoso nelle vendite e nella pubblicità, qualcosa sembra muoversi e i principali giornali cartacei americani e inglesi, anche grazie all’integrazione tra carta e digitale, sembrano aver trovato un nuovo modello di business per il futuro. Emilia Leroy