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Perchè gli economisti e i liberali (quasi mai) vanno d’accordo

Creato il 28 gennaio 2013 da Peppiniello @peppiniello

Perchè gli economisti e i liberali (quasi mai) vanno d’accordo

C’è un dato di fatto da registrare: gli economisti quasi mai sono liberali; figurarsi poi libertari. Qualcuno potrebbe chiedersi “come mai?”. A mio avviso c’è un problema all’origine stessa del nome e della disciplina. Il nome originale era economia politica. Tale accoppiata avrebbe fatto accapponare la pelle a chi, a tali termini, aveva dato il senso iniziale (gli amati greci).

L’economia, o oikonomia, era la gestione della casa, quindi della famiglia, delle proprietà, degli schiavi, della moglie e dei figli ecc. La politica era la gestione della città, o polis; stando alla suggestiva ricostruzione della Arendt (in Vita Activa), i due sono poli distanti, dal momento che l’economico è il regno della necessità, cioè di tutto quello che è connesso al lavoro (alla fatica, che non a caso in francese si dice “travail”, che suona molto simile a travaglio; nel sud italia per “fatia” si intende proprio il lavoro); la polis è invece, per eccellenza, il regno della libertà, il luogo ove solo l’uomo diventa tale, confrontandosi sulla pubblica piazza, a mezzo del discorso, con gli altri uomini. La politica è il regno dell’azione e del discorso; il discorso non trova spazio nell’oikonomia, perchè non ci sono dei pari da convincere, ma c’è un rapporto asimmetrico, fondato sull’ordine e sulla violenza. Tutt’altro avveniva nella politica, perlomeno in quel mondo che ha inventato la politica, al tempo di Pericle.

Col tempo l’insegnamento dei greci si è andato a mano a mano perdendo, e la politica ha perso quei caratteri cui qui, brevemente, abbiamo accennato. A partire dal 600 si è venuta a creare questa nuova disciplina, l’economia politica; la quale, stando allo stesso Smith, si prefiggeva di consigliare il sovrano in merito alla gestione delle finanze dello stato; scopo dichiarato, quindi, era quello di ottimizzare tali scelte, in modo che il sovrano non andasse più a tentoni, ma riuscisse ad ottimizzare la propria azione, in modo da procurarsi con facilità risorse. Qui siamo già ad un punto in cui il dissidio tra politica ed economia è svanito, essendo diventata la politica la gestione di una enorme famiglia, ossia l’insieme di tutte le famiglie della nazione; se l’oikonomia era la gestione patrimoniale della singola famiglia, l’economia politica ora diventa la gestione patrimoniale della nazione,intesa come somma di tutte le famiglie; con l’avvento della democrazia la cosa divenne sempre più esplicita, e i politici venivano investiti dell’esplicito mandato di gestire la nazione, come se fosse una famiglia, curandone gli interessi.

Veniamo allora al secondo punto; abbiamo detto che l’economia è una scienza di ausilio al sovrano (o comunque al decisore politico). Ed in questa veste si vedono gli economisti. Vi è in nuce un elitismo tecnocratico non da poco, che con lo svilupparsi della modellistica e delle tecniche matematiche si è fatta sempre più esagerata. Gli economisti infatti, fin dai banchi universitari, sono abituati a ragione sui modelli. Leggono la realtà attraverso i modelli, e prefiggendosi obiettivi da conseguire. Quando c’è un problema, loro si chiedono: come possiamo agire? su quali variabili andiamo ad intervenire?  Perdendo la disciplina ogni contatto con la filosofia morale, vi è rimasto solo il lato tecnico. E, ad ogni questione, si risponde manovrando variabili, si tratti di tasse, o di regolamentazione; ma si ragiona sempre in termini di (ad esempio) “vogliamo più crescita? bene. allora togliamo un po’ di tasse qui, mettiamo degli incentivi da quest’altra parte ecc”. Presupponendo, ovviamente, che la crescita si possa creare a tavolino…

E’ un punto di vista che nasce, per forza di cosa, come tecnicistico e centralistico; perchè si mettono sempre al posto del decisore centrale (che, come gli intellettuali illuministi loro dovrebbero consigliare), e danno consigli su cosa fare, avendo loro studiato, e conoscendo la tecnè appropriata.

Non sono in grado di comprendere le basi della great society (per dirla alla smith, o della società aperta se preferite popper), che non è tale in quanto gestita e pianificata dal centro, ma è diventata tale (portandoci a vertici di benessere e ricchezza, sia morale che pecuniaria) in quanto è una società non diretta davvero da nessuno, ma nella quale le decisioni sono demandate a una serie sterminata di decisori periferici, ognuno dei quali ne sa più di tutti sulla propria condizione, ed è il miglior decisore circa questa. Non capiscono che l’ordine è un “ordine senza piano”, che non è un caos (anche se si spaccia tale idea), ma un tipo di ordine del tutto superiore a quello che le più grandi menti umane, coadiuvate dai più potenti pc, potrebbero mai costruire. Illuministi nell’animo, peccano di hybris, e sono naturalmente portati al costruttivismo; vedono le persone, le imprese, come pedine da manovrare al fine di ottenere certi risultati. Schiavi dei modelli sui quali son cresciuti, non si rendon conto che la realtà è molto più complessa di quel che loro credono.

Non riescono a capire che la società, i mercati, le persone, se la caverebbero tranquillamente (e forse anche meglio) anche senza tutto il loro sapere (dimenticando poi la lezione di pareto, che avvisava i propri studenti “quel che vi insegnerò son poco più che vaniloqui, e la scienza economica che dovrei insegnarvi non esiste”). Dimenticano che le relazioni, economiche e non, tra le persone, son sempre esistite; e esisteranno anche senza tutto il loro sapere. E che gli unici a cui servano gli economisti son proprio i politici, nell’illusione che essi possano fornirgli un sapere grazie al quale conseguire obiettivi (politicamente spendibili) quali una maggior crescita, più giustizia sociale, equità ecc. Pura manipolazione dell’esistente a fini di propaganda elettorale. Questa è la scienza economica. Agli economisti dei principi, delle persone, della libertà, non fotte veramente nulla. Sono i tirapiedi dei politici, non molto altro. I pochi economisti che avevano a cuore la conoscenza dei fenomeni sociali, e la libertà delle persone, sono finiti per esser emarginati. Non servivano al potente di turno. Non servono studiosi che propagandino un messaggio in base al quale ridurre poteri e prerogative dello stato e dei politici. Serve altro. E questi altri vanno in cattedra. Il potere premia chi lo asseconda, punisce chi lo osteggia; semplice. Diffidate degli economisti. Diffidate di chi si arroga un sapere che non esiste. Diffidate di chi gioca sulla vostra pelle “eh, ma abbiamo studiato; solo così si può fare” Si vive benissimo senza loro, secondo me si vivrebbe molto meglio nel caso si levassero dalle palle. Non se ne può più della loro arroganza da strapazzo.



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