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Perché ho scelto il self-publishing (parte 1)

Da Anima Di Carta
Perché ho scelto il self-publishing (parte 1) Mi sono riproposta di inaugurare la serie di post dedicata alla mia avventura nel mondo dell'editoria fai-da-te raccontandovi come sono arrivata alla decisione di fare a meno degli editori e imboccare questa strada alternativa.
Tuttavia, mi sto accorgendo che non è affatto facile scrivere questo post. Sono consapevole che si tratta di un argomento delicato e un po' infido, perché il self-publishing suscita sempre molte prese di posizione, facendo schierare le persone in modo radicale da una parte o dall'altra, o dando luogo a polemiche infinite.
Inoltre, non sono affatto sicura di riuscire a spiegare qualcosa che ha molte sfaccettature anche per me stessa, e ne consegue anche il timore di venire fraintesa.
Sarei tentata, insomma, di saltare questa parte, dando ascolto alle parole di Elbert Hubbard: “Non dare mai spiegazioni: i tuoi amici non ne hanno bisogno e i tuoi nemici non ci crederanno comunque”.
Ma voglio ugualmente provare a condividere con voi le mie motivazioni, con la speranza che abbiate la pazienza di leggermi fino in fondo.

Dieci anni fa


Ricordo molto bene una conversazione avvenuta circa dieci anni fa tra me e una mia amica (che conosco nella vita reale). Nel confrontarci sulla comune passione per la scrittura, parlavamo di Lulu, che a quel tempo era ancora poco conosciuto in Italia. Sentivamo per la prima volta di questo fenomeno di pubblicazione senza editore ed entrambe concordammo che non faceva al nostro caso: volevamo pubblicare con una casa editrice e coltivavamo il sogno di vedere i nostri romanzi in bella vista sugli scaffali delle librerie più importanti della città. Ricordo come se fosse stato ieri che io dissi queste parole: “Voglio pubblicare con un editore vero”.
Da quel giorno le cose sono molto cambiate per me, ma non per la mia amica. Lei infatti è rimasta ancorata all'idea di non bruciare la sua storia finché un editore di quelli importanti non accetta di pubblicarla. Ha contattato agenzie, editor e direttori editoriali di un certo peso (è di sicuro molto più intraprendente di me), ma tutti le hanno detto che “non è un buon momento per il suo romanzo” (una frase che si sente spesso di questi tempi, vero?). Quindi, ha preso una decisione drastica: non pubblicare fino a quando non troverà l'editore giusto. E per giusto intende qualcuno che la porterà nelle librerie. Ma sono passati dieci anni e il suo sogno nel frattempo è stato (giustamente) sostituito da altre cose.

Sette anni fa


Il mio destino è invece stato un altro. Ho accettato la prima offerta free che mi è capitata, convinta che il male assoluto fosse l’editoria a pagamento. Ma esistono altre forme più insidiose di scelte sbagliate. In definitiva, la mia esperienza non è stata positiva, ma di questo oggi non voglio parlare, perché è una situazione ancora troppo fresca. Posso però riassumervi come sono andate le cose con una frase che ho letto quest’estate sul saggio di Giuseppe Culicchia E così vorresti fare lo scrittore, (riflessioni ironico-amare sul mondo dell'editoria):
“In quanto inedito, puoi permetterti il lusso di scrivere con innocenza. Un’innocenza che sei destinato a perdere con la pubblicazione. Perché una volta che sarai pubblicato, cambierà tutto”.
Ed è proprio così: dopo il primo libro avviene un cambiamento, si perde l'innocenza. Nel migliore dei casi si acquista una maggiore consapevolezza della realtà, nel peggiore si abbandonano sogni e illusioni, e qualche volta perfino la scrittura. C'è chi dopo il primo libro decide di chiudere ogni progetto, chi riparte più preparato. Certo, è anche possibile che non cambi nulla, che l'esperienza della pubblicazione non vi scuota più di tanto.

Due anni fa


Per quanto mi riguarda, molto è cambiato. In un primo tempo ho deciso di scegliere con molta più cura gli editori e per un po' ho vagheggiato di una casa editrice ideale. Ho fatto molte ricerche, compilato elenchi, ho inviato sinossi, manoscritti o richieste di informazioni a una ristretta cerchia di editori, che si avvicinavano almeno in teoria alla mia idea di CE giusta.
Il risultato è stata una (1!) risposta, ovviamente negativa, da parte di un'agenzia. Il resto è stato silenzio, il più assoluto e frustante silenzio. Il cambiamento rispetto a dieci anni fa è stato subito evidente. Infatti, quando ho cominciato a mandare in giro manoscritti, la percentuale delle risposte (spesso persino personalizzate) era dell'80%, contro l'attuale 1%.
A questo poi si è aggiunto un altro evento che ha definitivamente distrutto la mia fiducia nell'editoria, e cioè la chiusura di un'esperienza lavorativa in una casa editrice, durata ben tredici anni. Tante certezze sono svanite in modo brusco, ma soprattutto ho preso coscienza in modo diretto della crisi del settore, una crisi della quale molti aspiranti scrittori sanno solo per sentito dire o se vengono lanciate campagne per rendere l'opinione pubblica consapevole del mancato pagamento degli stipendi agli addetti ai lavori o agli autori. Questa crisi è però una realtà molto concreta e ha un notevole impatto su chi vuole farsi pubblicare “seriamente”.
La verità di cui ho preso coscienza a un certo punto è stata che pubblicare oggi con un piccolo editore potrebbe equivalere a non aver pubblicato affatto, perché il più delle volte il tuo libro ha diffusione zero nelle librerie e in certi casi non esiste neppure negli store di libri digitali. La distribuzione è il tallone di Achille di moltissimi editori. Inoltre, nella migliore delle ipotesi (quando non ci sono dietro motivazioni disoneste) le case editrici non hanno i fondi per promuoverti e si dimenticano del tuo libro subito dopo averlo pubblicato. E questo accade spesso anche con editori medi e talvolta persino con quelli al top. Chiaramente non si può generalizzare, ma è comunque una realtà con cui fare i conti.

Un anno fa...


Quando un anno fa ho ripreso in mano il romanzo che pubblicherò a breve, ero fortemente demotivata e scoraggiata. L'idea di iniziare il lavoro di riscrittura e revisione senza un futuro certo non mi piaceva affatto. Cosa avrei fatto una volta finito? Avrei ricominciato quella trafila frustrante dell'invio dei manoscritti, quella ricerca affannosa e per lo più inutile di una casa editrice che soddisfacesse i miei canoni? Avrei ripiegato su un piccolo editore, con tutto ciò che questa scelta comporta? O avrei tenuto il romanzo in un cassetto, terrorizzata al pensiero di fare scelte sbagliate?
Devo lasciarvi con questo cliffhanger (macché, tanto già sapete come va a finire la storia...) perché mi accorgo di aver scritto tanto, forse troppo, ma ho ancora molto da dire. Quindi non mi resta che rimandarvi alla prossima puntata!

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