di Cristiano Abbadessa
Riprendo ancora la recensione di “Tramonti d’Occidente”, di Emilia Blanchetti, pubblicata sul sito di Qlibri. Non per parlare ancora di editor e autori, ma perché la chiusa offre un interessante spunto di riflessione.
Ciò che mi ha incuriosito è il suggerimento in sé, a prescindere dalla sua validità per questo romanzo, perché rappresenta un po’ il ribaltamento totale di una delle classiche scelte editoriali che, noi come molti altri, operiamo quando è il caso. Capita infatti, e neppure di rado, di procedere nel senso esattamente opposto a quello ipotizzato dal recensore di Qlibri: trovarsi tra le mani raccolte di racconti in cui alcuni elementi indicano un possibile filo conduttore (l’ambientazione, le tematiche, il ricorrere di alcuni personaggi; e, ovviamente, uno stile omogeneo) e suggerire all’autore di esplorare insieme la possibilità di trasformare la raccolta in un unico romanzo, creando una struttura portante, costruendo una trama unitaria e conservando alcuni percorsi narrativi autonomi che andranno a costituire le indispensabili digressioni.
Ovviamente è una strada che si prova a percorrere solo quando ha un senso. Ma, di certo, non capita mai di ipotizzare il percorso inverso. E questo per una banalissima considerazione: le raccolte di racconti vendono poco, i romanzi un po’ di più. Per cui, se una buona raccolta può diventare un buon romanzo, vale la pena di provare a lavorarci sopra. E dico di più: se ho tra le mani un buon romanzo, lo pubblico senza troppi timori, mentre una raccolta di racconti deve essere perlomeno di ottimo livello, e neppure questo mi garantisce un buon ritorno di vendite.
È questo, la difficoltà di penetrazione sul mercato dei racconti, un luogo comune consolidato dell’editoria italiana. Luogo comune, peraltro, vero e verificato. Noi stessi abbiamo pubblicato, fra i nostri titoli d’esordio, una raccolta di racconti nella quale credevamo molto; e, dal punto di vista letterario, non a torto, perché ha ricevuto solo critiche positive ed è piaciuta a tutti coloro che l’hanno letta. Però, a confronto coi romanzi da noi pubblicati nello stesso periodo, ha venduto pochissimo. E alle fiere, o in altri eventi pubblici, abbiamo constatato direttamente come il lettore, sbirciate le quarte di copertina, riponga sul banco la raccolta di racconti e si orienti verso un romanzo, ovviamente quello che gli pare più plausibile secondo il proprio gusto.
Personalmente non ho alcuna preclusione verso i racconti. Anzi, da semplice lettore li gradisco molto, e trovo che sia anche più semplice mettere insieme una buona e godibile raccolta che realizzare un buon romanzo, dove è più facile denunciare limiti o debolezze così come arenarsi in fasi di stanca. Però, forse, sono l’unico, insieme al recensore di Qlibri, a non avere questa preclusione. E, come direttore editoriale, mi sono dovuto regolare di conseguenza.
Tutto quanto detto sopra valga a preambolo per introdurre una domanda posta a chi ci segue: perché i racconti non vi piacciono? Perché ne diffidate istintivamente e, al momento della scelta, optate invariabilmente per il romanzo?
Mi piacerebbe che le risposte fossero molte. E, siccome i visitatori e lettori del blog (lo verifico dalle statistiche) sono infinitamente di più dei cinque o sei abituali commentatori (benemeriti, beninteso), mi piacerebbe anche sentire la voce, sintetica e chiara, di chi si considera prima di tutto lettore.