«Durante un’epoca di predominio dei valori tradizionalmente maschili di violenza, repressione e forza bruta, dove la dittatura non era altro se non l’iperbole del maschilismo, in questo mondo maschilista si erse Minerva per dimostrare fino a che punto ed in quale misura il femminile è una forma di dissidenza». (Dedè Mirabal)
Le sorelle Mirabal nacquero a Ojo, nella Repubblica Dominicana, da una famiglia benestante. Erano quattro: Patria, Maria Teresa, Minerva e Belgica Adele (vivente). Vissero la loro gioventù negli anni della dittatura trujillista, una delle più severe dell’America Latina. Il tirannico e brutale ambiente politico e sociale nel quale si ritrovarono, risvegliò molto presto le loro coscienze sulla necessità di libertà e rispetto dei diritti delle donne domenicane. Quando Trujillo salì al potere, la loro famiglia (come molte altre nel paese) perse quasi totalmente i propri beni, prima nazionalizzati e successivamente incamerati direttamente dal dittatore nei suoi beni privati.
Le sorelle Mirabal La ribellione e l’impegno di queste tre giovani donne di fronte alle atrocità del regime, prese il via con la costituzione nel 1960 del Movimento 14 Giugno, sotto la direzione di Manolo Travares Justo (marito di Minerva). Il loro nome in codice era Las Mariposas ovvero Le Farfalle.
Il movimento si espanse in tutto il paese e venne strutturato attraverso nuclei i quali si impegnarono a combattere attivamente la dittatura. La loro opera rivoluzionaria fu così efficace che il Dittatore in una visita a Salcedo esclamò: «Ho solo due problemi: la Chiesa cattolica e le sorelle Mirabal».
Nel gennaio del 1960 il movimento fu scoperto dalla polizia segreta di Trujillo e tutti i suoi membri vennero perseguitati e incarcerati, tra cui le sorelle Mirabal e i loro mariti. Le sorelle vennero liberate alcuni mesi dopo grazie alla pressione internazionale, ma i loro coniugi restarono reclusi. Il 25 novembre 1960, le sorelle Mirabal, andarono a fare visita ai mariti, trasferiti nel carcere della città di Puerto Plata. Le tre donne caddero in un’imboscata degli agenti del servizio segreto militare. Portate in una piantagione di canna di zucchero vennero massacrate, bastonate e strangolate e i loro corpi vennero poi rimessi nel veicolo sul quale stavano viaggiando che venne fatto precipitare per un dirupo per simulare un incidente.
Le sorelle Mirabal L’assassinio delle sorelle Mirabal provocò grandissima commozione in tutto il paese: la terribile notizia si diffuse come polvere, nonostante la censura, risvegliando l’indignazione popolare che portò nel 1961 all’assassinio di Trujillo e successivamente alla fine della dittatura.
L’ unica sorella sopravvissuta, perché non impegnata attivamente, Belgica Adele detta Dedé, ha dedicato la sua vita alla cura dei sei nipoti orfani: Nelson, Noris e Raul, figli di Patria; Minou e Manuelito, figli di Minerva, che avevano perso il padre e la madre, e Jaqueline figlia di Maria Teresa, che non aveva ancora compiuto due anni. Dedé esorcizzerà il rimorso per essere sopravvissuta alle amatissime sorelle dandosi il compito di custode della loro memoria: «Sopravvissi per raccontare la loro vita». Nel marzo 1999 ha pubblicato un libro di memorie Vivas in su jardin dedicato alle sorelle, le cui pagine sono definite come «fiori del giardino della casa museo dove rimarranno vive per sempre le mie farfalle».
La loro vita è stata narrata anche dalla scrittrice dominicana Julia Alvarez nel romanzo Il tempo delle farfalle (1994), da cui è stato tratto nel 2004 il film di Mariano Barroso In The time of Butterflies, con Salma Hayek.
Oggi centinaia sono le iniziative che attualmente in tutta Italia vengono organizzate in questa data (qui un elenco di alcune iniziative organizzate quest’anno) . Associazioni femminili e centri anti-violenza intendono richiamare l’attenzione della società e delle istituzioni su un fenomeno che purtroppo non accenna a diminuire e sempre più spesso gli uomini sono invitati a partecipare, assumendo la responsabilità di testimonial per rompere le barriere del sessismo e riflettere sui comportamenti maschili che sfociano nella violenza.
I dati contenuti nel secondo Rapporto Eures sul Femminicidio in Italia non sono dei più entusiasmanti: con 179 donne uccise, il 2013 è stato l’”anno nero” per il femminicidio nel nostro Paese, il più cruento degli ultimi sette, con un incremento del 14% rispetto al 2012. L’anno passato ha presentato la più elevata percentuale di donne tra le vittime di omicidio mai registrata in Italia, pari al 35,7% delle vittime totali (179 sui 502): nel ’90, le donne uccise erano appena l’11,1% delle vittime totali. Sempre nel 2013, quasi il 70% dei femminicidi è avvenuto in famiglia, il 92,4% per mano di un uomo. Il rapporto Eures sottolinea infine anche un’altra triste realtà, ovvero “l’inefficacia e inadeguatezza della risposta istituzionale alla richiesta d’aiuto delle donne vittime di violenza all’interno della coppia, visto che nel 2013 ben il 51,9% delle future vittime di omicidio (17 in valori assoluti) aveva segnalato/denunciato alle Istituzioni le violenze subite”.
La violenza contro le donne è una piaga globale che continua ad uccidere, torturare e mutilare, sia fisicamente che psicologicamente. Esiste in tutti i paesi, attraversa tutte le culture, le classi, i livelli d’istruzione, di reddito e tutte le fasce di età ed è purtroppo un fenomeno ancora poco denunciato e/o documentato. Molte donne non hanno la consapevolezza di essere vittime di un abuso, altre non denunciano per paura, perché minacciate, per proteggere e difendere i propri figli, per la frustrazione e l’umiliazione di essere picchiate e abusate.
La violenza sulle donne rappresenta un problema storico e culturale in quanto è anche la manifestazione di una disparità storica nei rapporti di forza tra uomo e donna, che ha portato al dominio dell’uno e all’oppressione dell’altra. Per queste ragioni la violenza, in particolare quella domestica, è ancor oggi un fenomeno molto sommerso, nascosto, occultato e che troppo spesso sta sfociando in quello che noi chiamiamo: FEMMINICIDIO!
Anche il 2014 purtroppo si è macchiato di delitti efferati e in questa giornata di memoria un pensiero vola a tutte le donne indiane violentate e impiccate , a Reyhaneh Jabbari uccisa dalla legge del suo paese perché si difese da un tentativo di stupro, a tutte le donne che riempiono le colonnine di cronaca nera con le loro morti, a tutte quelle donne delle quali non conosciamo i nomi e che subiscono in silenzio , a tutte quelle donne che rischiano la propria vita per combattere per un ideale con la speranza di avere una vita migliore.
E’ triste dirlo, ma abbiamo tanto bisogno del 25 Novembre. Abbiamo bisogno di ricordare che quotidianamente molte sono le donne che in tutto il mondo subiscono violenza e in moltissimi casi vengono uccise. Abbiamo bisogno del 25 Novembre per coltivare la speranza che la situazione su descritta divenga un lontano ricordo, che vengano intrapresi dei provvedimenti affinché finisca questa mattanza e che tutte le donne che subiscono violenza riescano ad uscire dal silenzio trovando il coraggio di reagire e denunciare il proprio aguzzino.
Il silenzio è amico della violenza.
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