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Perche’ il multipolarismo

Creato il 18 settembre 2015 da Conflittiestrategie

Scritto da: Gianni Petrosillo

La Russia sta cercando di conservare il suo avamposto in Siria che le garantisce un accesso privilegiato al Mediterraneo. Tra Latakia e Tartus ci sono basi e mezzi russi a presidiare un pezzo di terra estremamente strategico per la proiezione di Mosca su uno scenario da sempre molto complicato. Con i jihadisti filo-Usa che si erano spinti molto vicini alle sue postazioni, probabilmente tra i primi veri obiettivi dell'avanzata dei gruppi islamici finanziati dall'Occidente, era inevitabile che Putin reagisse con una maggiore presenza di forze speciali e strumentazioni militari. Le fortificazioni vengono organizzate attraverso manovre coperte perché il gigante dell'Est non ha ancora l'energia geopolitica necessaria a scontrarsi frontalmente con i suoi avversari atlantici. Quindi, chiunque non si faccia prendere dal tifo per una delle due parti in causa, comprende bene che i russi sono sulla difensiva, rispetto ad attacchi ravvicinati degli Stati Uniti e dei suoi alleati nella zona, ma anche altrove (vedi l'Ucraina). In questo senso, si può sostenere che la Russia si protegge abbastanza bene, riesce a non perdere troppo terreno ma non è essa ad attaccare lo strapotere statunitense che nell'area mediorientale, e non solo in quella, resta preminente. La superiorità americana non è ancora così contendibile in modo diretto anche se si parla di relativo declino statunitense rispetto ad una fase storica precedente. Effettivamente, questo indebolimento c'è e deriva tanto da un recupero di potenza di Paesi in ascesa militare ed economica che da una ricalibrazione della stessa strategia mondiale americana, data la nuova situazione, che tarda a definirsi e chiarirsi. In sostanza, con il lento ingresso nell'epoca multipolare si concretizzano quegli squilibri nei rapporti di forza tra Stati di cui abbiamo più volte parlato e che preludono a trasformazioni tutt'altro che determinate. Esiste una tendenza in atto di cui è ancora difficile comprendere le eventuali decantazioni. L'instabilità globale non è decretata in maniera preponderante dagli odi personali tra leadership concorrenti sulla scacchiera geografica, dalle differenze etniche, religiose o culturali tra giocatori nell'arena planetaria o dalla memoria di dispute e contese del passato, le quali tornano a galla come pretesti per scatenare i conflitti attuali. Questi fattori giocano un ruolo marginale anche se prendono il davanti della scena per celare gli spostamenti più sostanziali che avvengono sotto la crosta dei fenomeni sociali. In realtà, accade qualcosa di più profondo che va oltre gli aspetti superficiali personalistici, etnici, etici, ecc. ecc. con le corrispondenti ideologie e teologie di supporto. Gli Usa sono stati a lungo i garanti di un equilibrio, se così lo si può definire, di cui essi erano il centro regolatore. La stabilità di cui essi erano il perno sta venendo progressivamente meno per l'azione di dinamiche oggettive che da sempre rendono precarie le costruzioni umane. Come scrive Gianfranco la Grassa, gli individui in interazione nella società, e per la costituzione della società, sono immersi in un flusso conflittuale da cui sono "agiti", anche quando si percepiscono come decisori e attori di cambiamenti, "detti impulsi, che creano micro e macrosquilibri di varia entità e ampiezza, sono vissuti dagli individui (in quanto portatori) come subdola azione degli altri. Ognuno è convinto che sia l'altro a ingannarlo e a volere rompere l'equilibrio a suo favore, a favore del suo prevalere; e quindi reagisce. E reagisce anch'esso subdolamente, cercando di ingannare gli altri circa le sue reali intenzioni. Mai ci si schiera però individuo contro ogni altro individuo; si costituiscono alleanze e gruppi associati per meglio lottare". La stessa cosa avviene tra Paesi che occupano la scena internazionale. Una nazione può rafforzarsi internamente perché dalla lotta intestina tra drappelli autoctoni di decisori per la supremazia sociale e politica emergono gruppi che, per affermarsi, determinano mutamenti degli assetti statali e imprimono maggiore dinamismo a quelli economici. Se detti attori riescono a spuntarla su quelli più conservatori si generano mutamenti positivi nella vita di quella collettività. Queste spinte innovative possono estendersi anche al di là dei confini nazionali modificando le alleanze del Paese e i suoi indirizzi geopolitici, poiché ci si intende collegare con gruppi esterni che stanno seguendo percorsi simili, al fine di irrobustire la propria azione. Cambiano allora le amicizie e gli interessi di quel "popolo" che inizia a guardarsi meglio intorno. Già questo comincia a far traballare l'impalcatura generale. Tali microsquilibri possono intensificarsi e propagarsi in altri contesti statali mettendo a repentaglio il cosiddetto "equilibrio globale". Pian piano della stabilità precedente a livello internazionale rimane ben poco e la nazione (o l'area di stati) su cui quella saldezza si fondava reagisce risolutamente per impedire di essere scalzata dal suo primato. Si moltiplicano le iniziative diplomatiche e militari, di vario tipo. Quando possibile si fa ricorso al soft power per puntellare la propria egemonia, ma laddove il guanto di velluto non è in grado di riportare "l'ordine", si passa al pugno di ferro e a maniere via via più cattive. Scoppia il caos geopolitico, il disordine dal quale possono poi sgorgare altre configurazioni mondiali basate su una diversa distribuzione dei rapporti di forza. In questo gioco contano, certamente, anche gli "umori" e le preferenze dei soggetti agenti, o meglio le loro visioni e convinzioni ideologiche, ma la causa scatenante di questo sommovimento complessivo è l'inarrestabile dinamica conflittuale che attraversa la realtà sociale. Non ci sono i buoni da una parte e i cattivi dall'altra, tuttavia solo chi riesce ad emergere e a far valere le sue ragioni, coniugandole ai tempi, avrà diritto a sopravvivere e a gestire il suo futuro.


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