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Perchè il velo non è femminista

Da Bambolediavole @BamboleDiavole

Qualche giorno fa, sull’edizione online di Internazionale, è comparso un video in cui una studentessa londinese musulmana, Hanna Yusuf, spiega perché porta l’hijab. Il video si apre con la frase: “Il mio hijab non ha niente a che fare con l’oppressione. E’ una dichiarazione di femminismo”. L’utente medio (nel caso specifico, me) a questo punto pensa: “Accidenti, la ragazza sembra sicura delle sue argomentazioni. Non avevo mai pensato che un velo potesse essere femminista, ascoltiamo cosa ha da dire”.
Hanna è graziosa, indossa un velo blu elettrico sopra una maglietta di pizzo nero con le braccia trasparenti ed ha gli occhi truccati. Innanzi tutti spiega cosa sia l’hijab (ovvero il velo che lei stessa porta nel video), e poi si chiede innocentemente come una semplice sciarpa possa causare tante diatribe. Dice: “Per molti uomini e donne occidentali questo è un simbolo di oppressione. Ma in un mondo in cui il valore di una donna è spesso ridotto alla sua sensualità, rifiutare questo concetto non è forse un gesto di liberazione?”
Beh, no, non lo è, perchè ci sono molti altri modi per rifiutarsi di apparire sensuali a tutti i costi: indossare una tuta da ginnastica, evitare di depilarsi o di truccarsi, tagliarsi i capelli corti. Sono tutti atti volti alla desensualizzazione della donna, e decisamente più pratici di una sciarpa in testa. Ma andiamo avanti.
Hanna si chiede: “Perchè l’hijab provoca tutto questo clamore?” e pronta arriva la risposta: “Non perchè sia una minaccia ai valori progressisti, ma perchè va contro gli imperativi commerciali che sostengono la cultura del consumismo“.
A questo punto salto dalla sedia. “Eh? Cosa?” Questa affermazione mi sembra quantomeno pretestuosa! Pretendo una spiegazione. Che infatti arriva subito dopo: “Il capitalismo tratta la donna sia come prodotto sia come consumatore. Guardate le pubblicità” (scorrono immagini di spot pubblicitari in cui il corpo della donna è sessualizzato al fine di promuovere l’oggetto in questione). “Le donne con l’hijab non rientrano in questo modello. La loro presunta modestia contrasta con le immagini più commerciali delle donne, come modelle, sex symbols e dipendenti dallo shopping”.
La spiegazione non sta nè in cielo nè in terra. Che la donna occidentale sia ipersensualizzata è un dato di fatto, e la cosa va cambiata, ma la soluzione non può essere coprirsi di più, perchè altrimenti dovremmo andare in giro con un sacco di juta addosso per non farci guardare affatto – cosa che peraltro la ragazza non fa, visto che a parte il velo il resto del suo abbigliamento rispecchia perfettamente i canoni estetici occidentali che tanto disprezza, trucco agli occhi compreso. Ma le donne non possono e non devono vivere in funzione degli uomini, sia in positivo (quindi spogliandosi per apparire più sensuali ai loro occhi) sia in negativo (coprendosi di più per NON apparire più sensuali ai loro occhi).
Ma magari Hanna ha altre frecce nel suo arco: finiamo di vedere il video.
Dopo una (troppo) breve digressione sul fatto che in alcuni paesi in effetti il velo sia imposto alla donna con la violenza, finalmente arriva al punto: “Qualcuno sostiene che coprirsi non può essere un gesto di liberazione” (ah, ecco, lo dice anche lei, menomale)… ma poi aggiunge: “Come in fondo non lo è girare seminude”. Come non detto. “La liberazione è nella scelta. Presumendo che tutte le donne che indossino l’hijab siano oppresse sminuiamo la scelta di quelle che vogliono indossarlo.”
Infine, la conclusione: “Diciamoci la verità. Questa tesi pseudofemminista contro l’hijab rafforza le strutture di potere e va contro i valori femministi che sostiene di difendere. In realtà per molte donne l’hijab è uno strumento per rivendicare e avere pieno controllo del proprio corpo, e questo dà fastidio a molte persone”.
Questo è il punto in cui ho salvato il link per poi poterci scrivere un intervento sopra.
Tanto per cominciare, io non pretendo di sapere le ragioni di ogni singola donna su questo pianeta che decide di mettersi una sciarpa in testa. So però cos’è l’hijab, è un obbligo imprescindibile dettato dalla religione musulmana alle donne, perchè esse manifestino la loro modestia e la loro sottomissione ad Allah e agli uomini. Ci sono molti Paesi del mondo in cui il velo non è una scelta, ma un opprimente obbligo: le donne che decidono di non indossarlo vengono multate pesantemente, se va bene, quando non rinchiuse in prigione per molti anni. Può essere portata a giudizio anche una donna che venga fermata per strada da una pattuglia perchè non lo indossa correttamente. La pagina facebook “My Stealthy Freedom” raccoglie foto di donne iraniane senza velo in segno di protesta, e molte di loro sono state incarcerate per questo atto di ribellione.
Dopodichè, è innegabile che l’hijab ormai non sia più solo un simbolo religioso, ma una tradizione. Per chi vive all’estero, circondato da una cultura non sua e a cui viene richiesta ossessivamente l’integrazione ad ogni costo, pena il biasimo e l’isolamento, mantenere vive le proprie radici può trasformarsi in una priorità. Il velo quindi a volte diventa una rivendicazione orgogliosa della propria provenienza: lo capisco. Perfino io, italiana in Olanda, spesso sento forte il peso del pregiudizio.
Tutto questo però è ben lontano da ciò che dice Hanna: lei parla di rivendicazione femminista. In che modo, quello che è nato, e continua ad essere, il simbolo dell’oppressione religiosa sulla donna, può essere considerato una “liberazione”? Come può una donna, per apparire meno sensuale agli occhi degli uomini, pensare di coprirsi la testa piuttosto che evitare di truccarsi, a meno di pesanti condizionamenti da parte del contesto sociale in cui è cresciuta? Hanna dice che l’hijab è un modo per rivendicare il pieno controllo del proprio corpo: questa cosa non sta nè in cielo nè in terra. Rivendicare il controllo del proprio corpo vuol dire mettersi davanti l’armadio la mattina e scegliere se indossare una gonna corta o lunga, dei jeans aderenti o dei pantaloni da ginnastica, una canotta o un maglione sformato, in base esclusivamente al clima esterno ed al proprio gusto. Vuol dire scegliere se, quando e con chi avere rapporti sessuali. Vuol dire camminare per strada a qualunque ora del giorno e della notte senza vivere nel timore di essere aggredite, insultate o violentate. Questo vuol dire rivendicare la propria libertà. Scegliere cosa indossare per essere più o meno sensuali, più o meno attraenti, significa agire in base agli uomini, al loro giudizio, alla loro libidine. Chi mortifica il proprio aspetto solo per non essere guardata o giudicata in un certo modo sta avallando un modo di pensare che è, ancora una volta, prigioniero di logiche maschiocentriche. Lo testimonia il fatto che moltissime ragazze musulmane, in occidente, pur indossando l’hijab, si truccano in maniera pesantissima, molto più delle loro coetanee laiche, e si mettono tonnellate e tonnellate di profumo. Vogliono essere notate, vogliono essere attraenti, nonostante l’hijab. Dov’è la libertà di scelta? Dov’è la liberazione dagli imperativi commerciali? Io vedo solo una grande ipocrisia, che va a scapito di chi vive l’oppressione del velo tutti i giorni sulla propria pelle.

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