Be', mi sono completamente sbagliata ancora una volta.

Anche i personaggi, sia principali che secondari, sono meravigliosi. Aydin è ricco, e dilettante: ha fatto l'attore in gioventù ma non ha mai sfondato, scrive per un giornaletto locale, conversa con gli ospiti stranieri dell'albergo, è distrattamente generoso e delega al suo factotum Ilyas tutte le incombenze sgradevoli, vive con due donne ma non ne capisce fino in fondo i desideri. Non guida neppure il suo Suv, è sempre accompagnato da Ilyas, va a caccia ma la sua vita è all'interno, nel cerchio caldo di luce soffusa, dove si rifugia dietro lo schermo del suo Mac, viaggiando solo in internet, mentre sullo sfondo rimane l'illusione lontana della fama, della libertà, di Istanbul dove tutto potrebbe ancora cambiare, il rimpianto del passato quando tutto doveva ancora avvenire, le aspirazioni che non si realizzeranno mai. Necla e soprattutto Nihal sono problematiche, hanno desideri e pensieri complessi. Necla si chiede se si può vincere il male assecondandolo, con la forza dell'esempio fino a farlo vergognare di se stesso; Nihal è l'unica che alla parola cerca di sostituire l'azione, e il fatto che sia pesantemente sconfitta fa pensare che il significato di Il regno d'inverno vada ben al di là delle vicende personali per abbracciare un giudizio sulla Turchia intera.

Intanto tutti parlano per tutto il tempo, ma non si riesce a staccarsi da questi discorsi astratti da intellettuali di provincia, da sere vuote, da troppo alcol o o troppi silenzi o troppi rancori coltivati nella noia e nella frustrazione. E troppo freddo, dentro e fuori. In certi momenti sembra di trovarsi in Scene da un matrimonio di Bergman, in altri pare di vedere come è nata la filosofia, così nel buio e nell'inverrno, nella noia delle notti troppo lunghe, nella solitudine e nelle distanze eccessive, propizie alle discussioni sull'etica. Ma i personaggi evolvono, e persino l'untuoso e vigliacco imam alla fine ci appare quasi eroico nel suo sforzo quotidiano di lottare contro la miseria e tenere insieme una famiglia disastrata. E l'ultima scena, con l'accorata confessione di Aydin che si trasforma in articolo battuto sulla tastiera del solito Mac, l'ultima inquadratura sulla sua faccia che rivela tutto il personaggio, valgono da sole la visione del film. E la Palma d'Oro. E l'ammirazione per il regista.
Gli interpreti sono tutti perfetti.
Il regno d'inverno non è un film deprimente, tutt'altro. E' un film che rappresenta la vita, i suoi ritmi, alieno da qualsiasi moda, non usa l'arcaizzazione per acchiappare la simpatia o lo snobismo etnico dello spettatore. E' un film intenso che in qualche modo tocca nel profondo, che non annoia nemmeno per un attimo perché ha la forza della sincerità.
E la Cappadocia è meravigliosa. Anche d'inverno, vi assicuro, quando sulla neve ci sono solo le tracce delle volpi e alle cinque fa già buio, anche se per riscaldamento c'è solo una stufa in sala da pranzo. Io però non sono diventata filosofa, nemmeno lì. Forse non ci sono proprio portata.