Perché l’Italia è passata a essere, da paese di emigranti, ad asilo per immigrati?

Creato il 12 aprile 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

L’Italia ha vissuto migrazioni di popoli e invasioni. Mosaico di culture, è stata terra natia di numerosi emigranti. Oggi, però, si appresta ad affrontare la difficile questione dell’immigrazione.

L’immigrazione è “il trasferimento di persone in un paese diverso da quello d’origine, specialmente per trovare un lavoro” (Dizionario Sabatini Coletti). Una definizione senza dubbio molto generica per un termine divenuto di uso comune solo di recente. In Italia si parla di immigrazione solo a partire dalla metà del XIX secolo perché, prima di allora, l’Italia come entità nazionale non esisteva. Secondo l’accezione con cui usiamo questi due termini oggi, l’immigrazione e l’emigrazione presuppongono uno stato di partenza e uno stato di arrivo, ma se ci si concentra sulla storia, soprattutto su quella del nostro paese, ci si rende conto che il concetto di Stato è molto tardo sulla linea temporale della civilizzazione.

Dalle migrazioni di popoli alle invasioni nel Meridione

C’è una ragione precisa per cui gli spostamenti di individui da un’area all’altra, nella storia più antica, sono definiti “migrazioni”, invece di “immigrazioni”. Bisogna comprendere che in un’epoca come quella della Roma imperiale, i confini delle civiltà non erano netti. A dire il vero, non lo sono neanche oggi, per quanto non lo si ammetta. Si prendano, come esempio, le valli alpine che circondano Torino. L’influenza francese è molto forte in questi luoghi, tanto che il dialetto locale è piuttosto simile alla lingua francese e alcune abitudini sono tipiche dei cugini d’oltralpe. Una situazione speculare si presenta nel versante francese, dove lingua e tradizioni si confondono con quelle italiane. Questo esempio dimostra come, nonostante l’esistenza di confini naturali e politici netti, le diverse culture sfumino e non si interrompano improvvisamente, anzi, creano delle vere e proprie sub-culture. Inoltre, bisogna ricordare che fino a un paio di secoli fa era molto più difficile muoversi, non esistevano mezzi di locomozione rapidi come automobili, treni ed aerei. Questo fattore, insieme a quello culturale sopracitato, rendeva rari gli spostamenti di singoli individui fra aree distanti. Di conseguenza, è impreciso parlare di immigrazione vera e propria.

Fenomeno ben più comune era, invece, la migrazione di popoli, che vede nelle “invasioni barbariche” del IV e V secolo l’esempio più celebre. La migrazione di un popolo prevedeva uno spostamento di massa, più o meno organizzato, di un gran numero di persone (spesso diverse tribù accorpatesi), atto a trovare un terreno più favorevole dove stabilirsi. La mancanza di industria e di infrastrutture fisse nella cultura germanica di tarda antichità aveva permesso a numerosi popoli di spostarsi da un parte all’altra dell’Europa. In questo periodo, in Italia avviene il passaggio violento dei Goti di Teodorico, seguito da un vera e propria rilocazione del popolo longobardo dall’area pannonica alla penisola italiana. Attenzione a non confondere le migrazioni con le invasioni, però. Quest’ultimo termine non prevede l’abbandono delle terre d’origine, ma la conquista e l’annessione di territori nuovi. Invece, è un’invasione vera e propria quella dei Franchi, durante il regno di Carlo Magno. Sarà l’inizio di una storia travagliata per l’Italia, da quel momento frammentata in più regioni sotto giurisdizioni diverse, situazione in cui rimarrà fino alla sua Unità, nel 1861. Altre invasioni degne di nota sono quella degli Arabi nel IX secolo e quella dei Normanni nell’XI-XII secolo, che plasmarono culturalmente e biologicamente tutto il Meridione, lasciando numerosi segni delle proprie culture, come si può chiaramente vedere analizzando i motivi e gli stili architettonici di molte strutture in Sicilia e in Puglia.

L’epoca dei migranti e la macchina dell’industrializzazione

L’industrializzazione dell’Europa e degli Stati Uniti è stata il motore che ha innescato il grande meccanismo della movimentazione di numerosi individui da una parte all’altra del globo. Il liberalismo economico e il nuovo sistema capitalista che si stavano delineando nel XIX secolo hanno introdotto un modo di pensare nuovo, radicalmente diverso da quello di tutte le epoche precedenti. Il povero e il disoccupato non rimanevano più nel proprio borgo sopravvivendo a stenti. L’iniziativa personale pagava bene, i mezzi per spostarsi c’erano e funzionavano. Il Bel Paese è così diventato terra di partenza per migliaia di emigranti, individui che avrebbero portato gli Stati Uniti a diventare quel mosaico socio-culturale che sono oggi, nonché una delle più grandi potenze mondiali in ambito economico e militare. Tuttavia, non bisogna bollare questo fenomeno di abbandono come negativo, anzi. Il costante trasferimento di forza lavoro all’estero ha permesso all’Italia di mantenere un mercato del lavoro piuttosto equilibrato e stabile, senza il quale la disoccupazione avrebbe sicuramente bloccato lo sviluppo. Gli Stati Uniti, d’altro canto, cercavano braccia forti per far funzionare un settore industriale vasto e in pieno sviluppo. Fino alla metà del XX secolo l’immigrazione si è dunque connotata come un fenomeno positivo, simbolo di speranza e indice di progresso, tanto in Italia quanto in altre parti del mondo.

New York, “The land of Opportunity”, in una stampa di fine ‘800

Le difficili responsabilità del Primo Mondo

La corsa al progresso ha registrato la vittoria dei paesi del cosiddetto Primo Mondo (Europa Occidentale, America Settentrionale e Giappone) e la loro ascesa come leader dello sviluppo mondiale. Non a caso sono stati loro a ideare questa suddivisione in “mondi”. Tuttavia, la vittoria ha comportato delle responsabilità che forse l’Italia non era pronta ad affrontare. Così, anche a causa delle crepe sempre più emergenti del sistema capitalista, basato sul consumismo e sulla sovrapproduzione, oggi si assiste a problematiche nuove. Nel nostro paese il fenomeno dell’emigrazione si è progressivamente attenuato, rimpiazzato da un’immigrazione di individui provenienti in prevalenza dal Nord Africa. Così come due millenni fa l’Italia dominava il Mediterraneo per la sua posizione geografica, oggi si ritrova a essere l’approdo più vicino e facile per entrare in Europa, l’anticamera del Primo Mondo. Il Bel Paese, però, non dispone di un apparato industriale e di un terziario così vasti e organizzati da poter fornire lavoro a una tale quantità di persone. L’economia ristagna e la disoccupazione cresce fino a livelli critici. L’Italia di oggi non è l’America dell’XIX secolo, ma la situazione che sta affrontando è analoga a quella di allora.

Immigrazione: ovvero l’erba del vicino è (quasi) sempre più verde

Bisogna analizzare attentamente le problematiche socio-culturali che causano tanto brusio in questo periodo e non giungere a conclusioni affrettate. L’immigrazione è un fenomeno millenario insito nella natura umana. D’altronde, l’uomo ha conquistato il globo proprio grazie a questo istinto. Ciascuna delle culture che oggi caratterizza il mosaico europeo è fondata su una costante mescolanza di popoli e tradizioni avvenuta nel corso della storia. La xenofobia (letteralmente “paura dell’estraneo”) che oggi serpeggia fra i cittadini italiani è comprensibile. Si tratta di una situazione tipica dei periodi di forte scambio di tradizioni. Accadde quando gli Amorrei si insediarono nella Mesopotamia della Terza Dianstia di Ur, così come quando i Normanni invasero la Britannia. Tuttavia, sono infondati i discorsi sulla preservazione della cultura. È un fenomeno che non si può arrestare per la natura stessa del concetto di cultura, che non bisogna vedere come entità dotata di confini, ma immaginare come una sfumatura nello spettro dei colori. Basti pensare all’influenza che ha avuto e che sta avendo l’americanizzazione sulle tradizioni italiane, pur non essendo l’Italia invasa da Statunitensi. Il costante mutamento delle culture è inarrestabile. Cercare di impedirlo non solo risulta in uno sforzo vano, ma fa anche emergere grandi ipocrisie nelle argomentazioni.

I problemi a cui si assiste oggi sono dovuti a una strumentalizzazione del fenomeno della xenofobia, atta a coprire i meccanismi poco oliati di un paese in crisi e che ha superato da tempo la propria capacità di popolazione. Quell’equilibrio che si era creato con la emigrazione degli Italiani verso paesi dotati di un’economia più dinamica è oggi crollato. Quell’erba verde che gli abitanti dell’Africa sperano di trovare nel nostro paese, forse non è più tanto verde.

In Italia l’immigrazione clandestina ha raggiunto livelli critici

Tags:Africa,cultura,emigrazione,Immigrazione,invasione,Italia,migrazione di popoli,stati uniti,Xenofobia

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