Recentemente il presidente della Bce, Mario Draghi, l’ha definita una tragedia perché “impedisce alle persone di giocare un ruolo pieno e significativo nella società”. Il riferimento è alla disoccupazione giovanile, che in diversi paesi europei ha raggiunto livelli fin troppo elevati. Nei paesi più colpiti dalla crisi e con un mercato del lavoro in affanno, la disoccupazione giovanile è particolarmente alta. In Spagna e Grecia ha raggiunto livelli record (oltre il 50%), in Croazia e in Italia il tasso di disoccupazione giovanile si è attestato su valori oltre il 40%. Già nel corso del 2015 lievi miglioramenti rispetto agli anni più duri della crisi sono stati osservati, ma nel complesso la situazione si presenta ancora preoccupante. Nel nostro paese, secondo gli ultimi dati Istat disponibili, il tasso di disoccupazione giovanile è cresciuto nel mese di gennaio dello 0,7% sull’ultimo mese del 2015, ora al 39,3%. Per l’Eurostat l’Italia si conferma così al quarto posto per disoccupazione giovanile dopo Grecia (48%, ma il dato è relativo a novembre 2015), Spagna (45%), Croazia (44,1%, stabile nell’ultimo trimestre del 2015). In generale la disoccupazione giovanile è scesa al 22% nell’Eurozona e al 19,7% nell’Ue28 (prima era al 22,8% e al 21%). La questione, ovviamente, non si esaurisce con i numeri e con le statistiche. La mancata partecipazione dei giovani al mercato del lavoro – è il pensiero di Mario Draghi – danneggia l’economia perché chi non trova occupazione non riesce a sviluppare capacità e competenze. In altre parole, nel lungo periodo, il rischio che più si corre è quello di dissipare capitale umano. Un problema molto sentito, in Italia e in Europa, è l’invecchiamento della popolazione. Nel nostro paese, nel 2015, le nascite sono state 488 mila (-15 mila), ovvero il minimo storico dall’Unità d’Italia (Istat). Ma il 2015 è stato anche il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità, che ora si attesta a 1,35 figli per donna. Inoltre risultano in diminuzione sia la popolazione in età attiva (15-64 anni) sia quella fino a 14 anni di età. Secondo studi della Commissione europea nel prossimo futuro le persone anziane (65 anni o più) potrebbero aumentare. Tale dinamica è legata a diversi trend (fertilità, aspettative di vita, flussi migratori) e può avere ripercussioni sul sistema economico, in termini di forza lavoro e costi sociali (welfare, previdenza, salute). Il ritardo, dunque, consisterebbe in larghissima parte nella ricchezza non generata. La situazione si fa più grave al cospetto di sistemi che non aiutano i giovani ad acquisire conoscenze e professionalità, a renderli cioè occupabili. In questi casi non solo non verrebbe creata ricchezza, ma i costi sarebbero molto più elevati. L’Eurofound (la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro) ha stimato per l’Ue un costo di oltre 150 miliardi di euro derivante dai giovani inattivi tra i 15 e i 29 anni, i Neet. Una perdita pari a circa l’1,2% del Pil europeo.
(anche su T-Mag)
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