“Le nazioni consolidavano la coscienza delle loro comunità di destino
con la minaccia incessante del nemico esterno.
Ora, il nemico dell’umanità non è esterno.
È nascosto in essa.” (E. Morin)
Dalla mostra “Bellolampo”, di S. Giordano e M. Ruggiani – Oratorio di S. Lorenzo, Palermo
Le pubblicità del Mulino Bianco ci raccontano ogni giorno di luoghi in cui tutti si amano. L’eden e il paradiso fanno altrettanto e da tempo immemore. Le adolescenti, poi, si chiamano “vita”, “vitina” e “amò” l’un con l’altra, sacralizzando il mito empatico dell’amore eterno non sessuato (che spesso dura fino all’avvento del maschio o dell’invidia per le unghie più belle).
I mondi guerrafondai in cui viviamo ci impongono però di snocciolare qualche piccolo bagno di realtà, tipo che, purtroppo, fuori dalle pubblicità e dalle adolescenze auree, “l’ascesa dell’individualismo economico” (Ferrari L.) non ha lasciato scampo ai sogni di umanità planetaria. La società attuale promuove infatti un modello di soggettivazione basato sull’individualismo (VS collettivismo) e sulla competizione (VS collaborazione), su un “mors tua, vita mea” in cui l’Altro è un avversario cattivissimissimo da aggredire e da distruggere, in una lotta all’ultimo sangue per l’ultimo lavoro disponibile sulla terra, o per l’ultima TV al plasma in super-sconto da Mediaworld!
In questo mondo, la crescita economica avviene a danno dei beni relazionali (in cui è il rapporto in sé, la stessa relazione a costituire il bene “economico”). I beni che vediamo graziosamente disposti sugli scaffali di ogni luogo sono, infatti, “beni posizionali”, il cui consumo ha il vantaggio di donare al fortunato e anonimo acquirente una “posizione” (appunto!) nella scala sociale. Funziona così: chi acquista il bene posizionale non è interessato al bene in sé, ma all’ordine con cui arriva a possederlo rispetto agli altri, poiché questo primato gli dona la possibilità di posizionarsi a un gradino più alto della scala sociale e di star meglio con se stesso. In questo contesto, l’altro è pura strumentalità: la sua presenza è necessaria, ma solo perché permette di avere qualcuno da superare, rispetto a cui sentirsi migliori. La relazione con l’altro è quindi di rivalità ed a somma zero (non esiste il caso in cui i partecipanti vincano o perdano entrambi) e svolge la sola funzione di confermare l’immagine socialmente desiderata che ognuno si costruisce attraverso i consumi.
L’altro, dunque, nell’attuale scenario macro-sociale e politico NON è amico, fratello, persona con i suoi bisogni, ma strumento di un’economia che gira attraverso lui, in quanto il rapporto io-tu si riduce alla tipica gara a consumare prima e più degli altri. Ergo consumare! Uscire gli sghey, i piccioli, la grana! E guadagnare, facendolo, la medaglia di primo acquirente del primo raccogli-molliche da superficie verticale del mondo! Altro che fratelli&amore! Scrive Sombart già nel 1967 che lo spirito capitalistico getta gli uomini sulla via dell’egoismo insaziabile e dell’autodeterminazione avvolta da un’aurea di distruttività appropriativa; d‘altronde, come abbiamo già detto, il mercato “è radicalmente estraneo ad ogni affratellamento”, inteso come ostacolo al suo stesso sviluppo e pertanto come barriera da rimuovere (Weber). Ecco quindi la tanto declamata desertificazione relazionale post-moderna: vissuti di solitudine e di vuoto interiore, assenza di relazioni stabili e narcisismi vari e galoppanti che dominano cuori, menti, testate giornalistiche, sedie da tronisti (televisivi) e anime dannate.
Insomma, l’ideologia economica attuale:
– non è funzionale alla comunità e alla sua sopravvivenza: i sistemi competitivi attuali uccidono la cooperazione; c’è picca i fari!
– spinge alla competizione inter-individuale ed alla micro¯o-distruttività iter-umana;
– sostiene la guerra tra uomini e popoli come stato di crisi permanente che toglie vite, ma aiuta i mercati economici a restare vivi e vegeti. Paradossi umani!
E intanto – ci siamo chiesti – noi che facciamo?
“Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che vedono, ciechi che, pur vedendo, non vedono” (Saramago). Adoro questa frase, è trucida ed è vera, penso. Perché le menti degli uomini spesso non pensano, accecate dal mito del problema esterno, nella convinzione che a rovinare il mondo, a portare la crisi, la guerra e la disoccupazione sia sempre una qualche minaccia che viene da fuori. “Mamma li turchi!!!!”. Ma chi è il turco? Chi è questo nemico esterno?
Poco importa. Perché se la vita è competizione, tutto il “non mio”, in fondo, è “estraneo”, nemico, avversario, turco infido. E poco importa anche capire questo passaggio, in fondo. L’importante è che serpeggi una generica, ancestrale paura dell’estraneità (e chissà invece chi ci è estraneo davvero); che ci domini l’attesa di una “minaccia costante e terribile” (Carli) che ci rovinerà tutti… mentre le guerre politiche ed economiche rovinano nel silenzio le fondamenta del mondo affratellato.
Solo che “il nemico dell’umanità non è esterno. È nascosto in essa”, dice Morin. Perché “il processo di globalizzazione sta avendo come devastante conseguenza lo sviluppo di una serie di fenomeni psico-pato-sociologici legati all’indifferenza, intesa sia come disinteresse all’esistenza dell’altro sia, più profondamente, quale assenza di riconoscimento della diversità” (Barone & Bruschetta). Il riconoscimento della sua voce è impedito poiché l’Altro, in quanto “non mio”, è l’avversario e basta, colui che impedisce il pieno dispiegarsi del MIO potere e del MIO desiderio. IO non posso dare voce e valore a te, perché, nel mondo della competizione posizionale, IO per esistere devo essere “sopra” di te! E tu devi restare sotto …o è scontro!
Mi chiedo che cosa significhi questo per la democrazia egualitaria.
Che cosa stiamo sottovalutando? Ad esempio, che l’interesse politico (della polis, del bene comune, della pace, della vita) è diventato solo strumentale ad un narcisistico esercizio di stile e di potere?
…Ecco un altro “perché la guerra”.
(Continua …e finisce!)