di Micheli Podda Sembrerebbe quantomeno inopportuno mettersi a parlare di lingua sarda in un momento così drammatico per l'intera società sarda, perchè tolto il clima e la natura, gli abitanti e le tradizioni, alla nostra isola poco altro rimane. Siccome però la speranza è davvero l'ultima a morire, c'è da sperare che la situazione non rimarrà così grave in eterno, e prima o poi un'alternativa o una via d'uscita si troverà e la ripresa ricomincerà gradualmente. Ma quando questo avverrà e finalmente avremo un minimo di serenità economica (fra cinque, dieci, quindici anni?) non potremo certo ripartire, per quanto riguarda la lingua, dalla situazione in cui l'avevamo lasciata. In quei cinque, dieci o più anni, la possibilità di riprendere l'uso del sardo sarebbe ancor più difficile, considerando quanto già oggi lo sia. Perchè la lingua si allontana sempre di più dalla mente e dal cuore di tutti i sardi: dei bambini che ne sono ormai privi totalmente (scuola e Tv), dei giovani che la considerano inutile e dannosa per il loro inserimento sociale e per il loro futuro, degli adulti che solo in parte sperano e operano con sempre meno energia (io fra questi), degli anziani che difendono il loro piccolo spazio vitale con la lingua italiana, evitando di essere morti prima del tempo. In queste condizioni, come dicevo, non è che il recupero si interrompe, e può riprendere dallo stesso punto in qualunque momento; no, una parte sarà persa per sempre. Diverse volte mi sono reso conto di come, a distanza di venti o trent'anni, alcuni termini o espressioni o costrutti normalmente usati non mi fossero più così chiari e facili nell'utilizzo e nella comprensione. Se questo capita a me, significa che capita anche ad altri, forse in modo anche più grave. D'altronde tutti gli studi condotti negli anni recenti hanno dimostrato che la competenza nell'uso del sardo è diminuita in modo costante e inarrestabile dopo gli anni sessanta, con tutte le valide (o meno) iniziative culturali e legislative (legge 26, legge 482, LSC ...) avviate dopo il 1972 (delibera della Facoltà di Lettere di Cagliari per il riconoscimento dei sardi come minoranza linguistica). La conclusione è questa: qualunque altro problema si stia affrontando (economico, politico, culturale, sociale...) e di qualunque gravità esso sia, il problema della lingua deve essere seguito contemporaneamente in modo costante, senza alcuna pausa, o i danni sarebbero più gravi e irreversibili; questo è un dato di fatto, sicuro e ammesso da tutti. Discutibile invece potrebbe essere ancora l'opportunità di salvare la lingua, che forse per qualcuno non sarebbe così importante; ma la grande maggioranza dei sardi, e sopratutto dei "maledetti" intellettuali, è del parere che lo sia, e che la lingua rappresenti effettivamente l'anima di un popolo, la sua identità, il contenitore di tutta la sua cultura. Se così è, e lo è, allora non bisogna trascurare neanche per un momento la questione linguistica, contemporaneamente a qualunque altra questione. Resta da vedere come, in che modo, perchè appena si entra nel merito sappiamo come finisce: incomprensioni, ripicche, contestazioni, divisioni, talvolta insulti. Per questo mi auguro che gli appassionati che hanno voce in capitolo, come gli amministratori di blog come questo, sollecitino nuove iniziative che portino assolutamente e in breve ad un obiettivo: l'attribuzione del prestigio che spetta alla lingua sarda, raggiungibile soltanto con l'insegnamento obbligatorio in tutte le scuole, subito. Tutto il resto è ben poco, quasi nulla.
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