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Perchè la paura degli spazi aperti

Da Quipsicologia @Quipsicologia

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La paura degli spazi aperti rientra nella definizione dell’agorafobia, termine che meglio comprende questo tipo di sindrome bio-psichica.

Dietro questa paura e questa sensazione di non essere al sicuro al di fuori dei propri spazi si nasconde in realtà la spinta ad andare oltre i limiti imposti. Ma vediamo meglio.

Un individuo soffre di questa paura se…

Evidenziamo quali sono le caratteristiche di chi soffre di agorafobia:

  • E’ costretto ad evitare tutti i luoghi affollati (centri commerciali, stadi, cinema, teatri, piazze) perchè suscitano un’ansia molto forte.
  • Fare la fila alla posta, nei supermercati, negli uffici gli crea un disagio molto acuto.
  • Evita di viaggiare in treno, in metro, soprattutto nei mezzi che fanno pochissime fermate.
  • Trovandosi in qualsiasi luogo lontano da casa si sente a rischio e in costante preoccupazione.

Altro dato interessante: spesso chi soffre di agorafobia soffre anche di Attacchi di Panico (DAP).

 

Agorafobia: paura di essere o divenire liberi

Agorafobia è un termine composto: deriva dal greco agorà che significa piazza (nella Grecia classica l’agorà era il luogo degli incontri fra gli aristòi, i cittadini liberi) e phòbos che significa appunto paura. Quindi, presa alla lettera la definizione sembra essere molto precisa: l’agorafobia è la paura di essere o di divenire liberi.

Di questa sindrome esistono descrizioni psichiatriche molto esaurienti da più di un secolo.

 

Libertà di cosa? Libertà da cosa?

Certamente la definizione dell’agorafobia come paura della libertà rimane molto generica e non priva di contraddizioni: ma libertà di cosa? libertà da cosa?

Il dott. Nicola Ghezzani esprime in modo sintetico ciò di cui sto parlando: “Se andiamo a considerare il fenomeno con più attenzione, la condizione di angoscia e di panico agorafobico si realizza non solo in senso generico, cioè avvicinandosi a spazi e luoghi aperti, ma anche in senso specifico, allontanandosi quindi da quei luoghi o quelle persone che integrano l’identità del soggetto. Infatti si può vivere una sensazione agorafobica anche da soli a casa, nel momento in cui si percepisce la propria radicale solitudine e l’assenza degli consueti  rumori  di riferimento. Questo tipo di esperienza indica che l’oggetto dell’angoscia non è la libertà intesa in senso generico. L’oggetto dell’angoscia agorafobica è la libertà intesa come isolamento dal proprio contesto umano di riferimento.

Quindi la libertà in se stessa viene intesa dal soggetto agorafobico nel senso della paura di perdere la socialità di riferimento.

 

Qual’è il conflitto in gioco?

Spesso l’agorafobia si presenta in soggetti che si sentono legati da doveri o sensi di colpa a situazioni o relazioni verso i quali hanno un atteggiamento ambivalente: da una parte tentano di fuggire, dall’altro hanno il timore delle conseguenze e della disapprovazione.

Per questo hanno paura di essere se stessi, di lasciarsi andare e di poter fare delle cose che “non sono da loro”, che sovvertono l’ordine precostituito, mettendo a rischio sicurezza e stabilità. File e code richiamano per loro l’ordine, le regole e la legge, perciò innescano il timore-desiderio di trasgredire.

Questo avviene perché il soggetto è strutturato su un sistema morale che gli fa avvertire intima contraddizione (conflitto intrapsichico) fra la sua appartenenza ad un determinato sistema sociale/familiare (sistema di affetti e di valori) e una libertà da egli stesso pensata in termini opposti a quel sistema. In questo caso il sistema morale esprime attivamente la sua volontà, manifestandosi come super-io (o giudice interiore) e proibendo al soggetto quella libertà. Ovviamente non proibisce ogni libertà, piuttosto solo quella oggettivamente in attrito con il sistema di appartenenza sociale/familiare sfidato.

Iniziare a gustare la libertà di essere

Come ho già messo in evidenza in altri articoli sul tema della paura, per poter superare anche l’agorafobia è necessario accettarla ossia accoglierla dentro di sé, dandogli spazio e ascolto. Quindi confrontandosi con essa e con i bisogni che nasconde.  L’accettazione, l’accoglienza, il senso di ineluttabilità sono tutti sentimenti che ci ricollegano con la realtà, facendo in modo che ci assumiamo la responsabilità della nostra sofferenza senza continuare ad attribuirne inutilmente la responsabilità ad altri o alle circostanze esterne.

In realtà no si teme quello che c’è fuori di se, ma di perdere il controllo della situazione e di se stessi, di non riconoscersi più se si cambia rotta. La paura esaspera i propri stati d’animo e in qualche modo è li ad indicare che è arrivato il momento di uscire e di assaporare la vita con autenticità e consapevolezza. Ma cosa significa essere consapevoli? Significa soprattutto esserci, essere presenti, essere attenti.

Certamente un aiuto psicoterapeutico può essere molto utile trasformare questa sofferenza, ma mi permetto intanto di dare un piccolo consiglio. Una prima cosa utile per esempio è cominciare a distinguere i momenti consapevoli della giornata da quelli in cui si è completamente travolti, immersi, identificati con la paura e le sensazioni associate. Questa aumentata consapevolezza rende la persona più presente a se stessi e alla situazione che sta vivendo e apre alla possibilità di comprendere, trascendere e trasformare le proprie reazioni impulsive attivate da quella stessa paura.

Per approfondire:

Vincere la paura della paura

Perché la paura di guidare l’auto


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