Ospitiamo sul blog un articolo di Marco Cobianchi, giornalista economico e autore del libro Mani Bucate (Chiarelettere 2011), sul problema dei sussidi statali alle imprese e in particolare sulla crisi sarda.
Negare i sussidi pubblici non è una soluzione, è solo una teoria ripetuta a pappagallo da chi non guarda la realtà. E’ un auspicio, che ovviamente condivido, ma non è una soluzione. È spiegare il mondo come dovrebbe essere, non come è effettivamente. Spiegare che occorre risolvere le crisi del Sulcis e dell’Alcoa è una favola. Non illudetevi, non illudiamoci: in Sardegna lo Stato dovrà investire ancora centinaia di milioni se non miliardi nei prossimi anni. Che si chiamino sussidi, che si chiamino cassa integrazione, che si chiamino contratti di fornitura elettrica “interrompibili” o “super interrompibili”, che si chiamino contratti di programma, ma i soldi lo Stato ce li deve, purtroppo, mettere ancora. E ce li deve mettere, e ce li metterà, perchè da quando nel 1962 Amintore Fanfani nazionalizzò l’energia elettrica per garantire il sostegno dei socialisti al suo governo, l’elettricità in Sardegna costa di più perchè si è creato un monopolio. Perchè da allora ad oggi nessun politico né nazionale né locale ha mai pensato di costruire un solo metro di autostrada, la cui assenza fa aumentare i costi di trasporto, nè una dignitosa rete ferroviaria. Né ha mai pensato, in momenti di espansione del ciclo economico, a come abolire il sistema dei sussidi pubblici elargiti a piene mani in questi 50 anni da tutti i partiti a tutte le imprese energivore sarde. Né ha mai pensato a un sistema di collegamenti con l’Italia che non sia pagato dalle tasse di tutti gli italiani dato che tutti (ho detto: tutti) i collegamenti con la Sardegna sono sussidiati. E nemmeno i politici hanno mai pensato di costruire un collegamento elettrico tra Italia e Sardegna o una rete di distribuzione del gas. Niente. Non hanno fatto niente. Tocca farlo ora, con lungimiranza, cura del territorio, imparando da come altri Paesi (la Germania, ad esempio, con la Ruhr) hanno riqualificato aree industriali fuori mercato.
Sostenere che ora lo Stato non deve metterci una lira perchè l’ortodossia dei liberali-scienziati che, chiusi nelle loro teorie perfette non lo prevede, è una presa in giro. E, d’altra parte, non li ho sentiti gridare allo scandalo quando banche fallite in giro per il mondo venivano salvate con i soldi dei contribuenti americani, tedeschi, francesi o spagnoli. Nè dire che il Monte dei Paschi di Siena deve essere lasciato fallire anziché essere nazionalizzato con i soldi delle tasse. E non lo hanno fatto perché staccare la spina dello Stato dalle banche in fallimento o alla miniera del Sulcis non è semplicemente possibile (ma sono cose che non si possono dire perchè non è molto politically correct) a meno che non si sia disposti ad affrontare a viso aperto, il loro, disordini sociali che non si possono immaginare a che non voglio immaginare. Non si può staccare la spina dello Stato da un territorio che da 50 anni vive attaccato alla mammella pubblica. E non è colpa sua, la colpa è di chi quella mammella, piena dei soldi degli italiani, gliel’ha sempre offerta illudendo i sardi che ci fossero dei pasti gratis pagati dal debito pubblico per ottenere in cambio voti, consensi.
Occorre, invece, dire la verità anche se non la sia vuole sentire: la Sardegna ci costerà ancora l’ira di Dio.
di Marco Cobianchi | @marcocobianchi | Mani Bucate
(2 settembre 2012)