Il riaffacciarsi nel dibattito italiano della questione morale, porta inevitabilmente con sé l’accusa, rivolta a Mani Pulite, di non esser riuscita a modificare il comportamento della classe dirigente nazionale. “Non è cambiato niente”, questo il refrain che rimbalza dagli studi televisivi, ai salotti culturali, ai bar.
Si tratta, a ben vedere, di un giudizio usato con maggior frequenza da quel segmento di pubblica opinione che fu vicino al Pentapartito, che in questo modo cerca di ridimensionare le colpe* dell’asse DC-PSI-PLI-PRI-PSDI volendo sottintendere una peggiore condotta dell’establishment attuale. (*Colpe gravi, a partire dalla ricerca del consenso attraverso politiche sociali ed assistenzialistiche rese possibili da iniezioni di debito pubblico. Oggi ne paghiamo lo scotto, ma puntiamo il dito contro Merkel e Francoforte)
Un messaggio volutamente semplicistico e frettoloso, che omette un’evidenza di fondo, di importanza irrinunciabile ed apicale: Mani Pulite non fu un’iniziativa politica od istituzionale di rilancio etico, ma un’inchiesta giudiziaria ed investigativa che mirava a far luce su alcuni fenomeni corruttivi precisi e circoscritti (alla giurisdizione del Pool milanese).
Non doveva cambiare nulla, dunque, perché questo non era né doveva essere il suo scopo ed il suo compito. P.s: seguendo il sillogismo che confina Mani Pulite nell’inutilità per non essere stata in grado di eliminare la corruzione, dovremmo allora chiedere lo scioglimento della magistratura e delle forze dell’ordine e l’abolizione delle carceri, dato che il crimine e e sarà, comunque, inestirpabile e sempre presente.