Ci sono altri indicatori da tenere in considerazione. Sempre l’Istat ha reso noto che nel primo trimestre il Pil dell’Italia è diminuito dello 0,1%, ovvero conferma un andamento stagnante della nostra economia. Per quanto la produzione industriale registri ad aprile un’impennata – e non è poco (+1,6%, rialzo più alto da agosto 2011 –, appena una settimana fa il Centro Studi di Confindustria evidenziava che il calo produttivo è stato del 5% tra il 2007 e il 2013 ed è valso il sorpasso ai nostri danni dell’India e del Brasile, cresciuti rispettivamente nello stesso periodo del 6,2% e dello 0,8%. Secondo il Censis l’Italia detiene appena l’1,6% dello stock mondiale di investimenti esteri, contro il 2,8% della Spagna, il 3,1% della Germania, il 4,8% della Francia e il 5,8% del Regno Unito. E in generale, da noi, gli investimenti hanno subìto dal 2007 un crollo del 58%.
Lasciamo stare, a questo punto, qualsiasi osservazione sulla crisi occupazionale, che tanto basta a comprendere la portata del fenomeno. E lasciamo stare anche la sempre più evidente discrepanza tra Nord e Sud (nel 2013 il Pil a livello territoriale registra una riduzione del 4% nel Mezzogiorno, molto più accentuata che nelle altre macro-aree del Paese). Perché era di consumi che stavamo parlando, no?
Eccoli, i consumi. Secondo la Confcommercio, che la scorsa settimana si è riunita in occasione dell’Assemblea nazionale, la ripresa si allontana e si conferma più debole e lenta del previsto. Insomma, l’economia reale è ancora ferma al palo. E sapete cosa? Occorreranno più di 11 anni per tornare ai livelli pre-crisi.
I comportamenti dei consumatori sono condizionati da diversi fattori: ad esempio le tendenze del momento, il pessimismo cosmico o gli scenari positivi spinti dai media. Un incremento tanto lieve, da solo, non può essere foriero dell’inversione del trend. Eppure lo 0,1% del primo scorcio dell’anno fa ben sperare. Chi, in tutta franchezza, non è dato sapere.
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