A chi non piacerebbe vivere in un attico di un grattacielo dalla vista mozzafiato e che ci consenta di godere della visuale dell’intera città? Forse, mettendo da parte solo chi soffre di vertigini, il sogno di tanti è proprio quello di abitare “tra le nuvole”, magari in un ambiente domestico super lusso e dai mille comfort. Purtroppo però la scienza sembra remare contro i desideri di tanti confermando che abitare agli ultimi piani di un grattacielo è una scelta di vita che si paga a caro prezzo.
Secondo una ricerca scientifica condotta nella città di Toronto in Canada, infatti, abitare “in alto” vuol dire mettere a repentaglio la propria vita. Perchè? Semplice, perchè in caso di malore i tempi di soccorso si allungano ed il tasso di sopravvivenza risulta sempre inversamente proporzionale al piano in cui si abita. Tradotto: più in alto vivi, maggiore sarà il rischio che hai di morire.
I dati dello studio, d’altronde, sono più che eloquenti: sopra il 25esimo piano di un palazzo non c’è stato alcun sopravvissuto tra i più di 8.000 casi esaminati di arresto cardiaco. La ricerca scientifica pubblicata sul Canadian Medical Association Journal punta il dito sulla presenza delle barriere architettoniche (ascensori, rampe delle scale….) che rallentano, di fatto, l’intervento del primo soccorso. I tassi di sopravvivenza sono risultati del 4,2% per chi abita dal primo al terzo piano, del 2,6% per chi abita dal terzo piano in su, 0,9% per chi abita oltre il 16esimo piano, nessun sopravvissuto, come detto, dal 25esimo piano in poi.
In caso di arresto cardiaco, infatti, la principale salvezza per una persona è l’intervento tempestivo dell’ambulanza con la possibilità delle prime manovre rianimatorie. In mancanza dell’arrivo per tempo del personale in grado di soccorrere l’infartuato (ostacolato dalla difficoltà a raggiungere l’abitazione) le probabilità di sopravvivenza del soggetto si riducono al minimo.