“Perché non torniamo”

Creato il 29 settembre 2011 da Fugadeitalenti

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Cityman“, lo pseudonimo che abbiamo assegnato a un giovane professionista italiano al lavoro in una grande città della Gran Bretagna, avvia da oggi il suo contributo con il blog “La Fuga dei Talenti”. Un giorno probabilmente deciderà di svelare la sua reale identità. Per adesso vi anticipiamo che si tratta di un italiano che ha il polso costante dei mercati, in una fase cruciale della nostra economia.

In un “post” ruvido, ma assolutamente realistico, ci spiega -con grande onestà intellettuale- due cose: perché il “Titanic Italia” rischia di affondare… ma, soprattutto, perché lui e centinaia di migliaia di altri giovani professionisti espatriati non intendono fare rientro nel Paese.

PERCHE’ NON TORNIAMO  

Come tanti degli italiani emigrati all’estero, ogni qual volta rientro in Italia per trascorrere le mie vacanze, la prima cosa che faccio e’ fermarmi al bar a prendere un caffe’.

Il sapore di un espresso, quello vero e non quello bruciato e annacquato di Starbucks, mi fa sempre porre la domanda: “ma quand’e’ che mi decido a tornare in Italia?”

La nostalgia, e non solo del caffe’, e’ tanta. Tuttavia, la nostalgia svanisce non appena esci dall’aeroporto: i collegamenti per la stazione sono pressocche’ inesistenti, un taxi ti chiede 50 euro per fare 3km, e una volta arrivato alla stazione o non ci sono treni o se ci sono, sono -comunque sia- perennemente in ritardo. Allora la nostalgia lascia spazio, ancora dopo tanti anni, alla rabbia e ad alcune delle ragioni che mi hanno visto espatriare.

E’ chiaro, non si va via perche’ non c’e’ un treno o un collegamento, si va via perche’ non c’e’ lavoro…e non si torna piu’.

Eppure io ci ho provato, a ritornare. Nel 2004 tornai in Italia per continuare a studiare, con l’intenzione di restarci. Finito il Master, presi l’elenco delle aziende alle quali le mie esperienze e qualifiche sarebbero dovute risultare interessanti, e spedii loro il mio curriculum.

Su 89 aziende contattate 2 sole risposte che, leggendole, mi fecero prenotare un biglietto di sola andata per il Paese dal quale ero ritornato un anno prima. All’estero, in 5 giorni, ho contattato 3 aziende e ricevuto 2 offerte di lavoro: dopo 7 giorni dal mio secondo espatrio siedevo gia’ dietro una scrivania.

Un nuovo tentativo lo feci 4 anni dopo: era il 2008, avevo dato le dimissioni dove lavoravo perche’ cercato ed assunto da un’altra azienda. Qui, dove vivo, e per il lavoro che faccio, venni obbligato a non lavorare per 3 mesi. Quindi tornai in Italia a trascorrere le mie forzate vacanze, che si trasformarono subito in una gioia nel rivedere gli amici ogni giorno, quegli amici che sono rimasti piantati come alberi nel posto natale.

Tanta era la gioa che, nonostante il lavoro che mi aspettava all’estero, decisi di dare un’occhiata al mondo del lavoro italiano, nei posti dove ero nato e cresciuto: l’unica offerta di impiego a tempo indeterminato veniva da un’azienda alimentare e recitava: CRECASI DISOSSATORE DI POLLI CON ESPERIENZA. Ovviamente capii subito che non era il caso di vedere se ci fosse un lavoro, sia perche’ non avevo esperienza nel disossare polli (ma ne serve?) sia perche’ dopo una laurea ed un master lo trovavo poco interessante intellettualmente.

Pochi giorni fa ho ricevuto una mail da un commercialista ,il quale mi ricordava come il Governo italiano stia cercando di incentivare gli espatriati a tornare attraverso delle concessioni di natura fiscale. La mail titolava: “e’ il momento di tornare a casa”.

Gia’, ma a fare cosa? E poi l’incentivo fiscale e’ di per se abbastanza per convincermi a tornare?

Seppur al momento mi trovo a pagare il 50% di tasse, la cosa non mi inquieta affatto perche’ le mie tasse vengono utilizzate per finanziare una societa’ che funziona, dove c’e’ un treno ogni 15 minuti che ti porta da uno dei 5 aeroporti al centro della citta (mi viene offerto un servizio), c’e’ uno Stato che pensa e agisce per la popolazione, e non uno Stato dove i propri governanti percepiscono il Paese come al loro servizio. Un Paese che -da zero e senza conoscerne la lingua- mi ha consentito di inserirmi e lavorare, ripagandomi in base alle mia capacita’ e competenze… e non in base alle mie “conoscenze”.

Cercare di incentivarmi a rientrare attraveso uno specchietto per le allodole mi fa capire tante cose, tra cui la mirabolante mancata percezione della realta’ da parte dei nostri politici.

Gli italiani, me incluso, se non hanno problemi a pagare le tasse all’estero, perche’ dovrebbero averne se si trovano in Italia? E’ forse l’incentivo fiscale proprio di una miopia incurabile dei nostri politici, che si rispecchia nella mentalita’ italiana del “meno tasse pago e meglio e’”? Dovrebbero forse i nostri politici chiedersi qual’e’ la ragione di una propensione all’insofferenza verso le tasse, da parte dei cittadini? E’ l’insofferenza della popolazione italiana alle tasse direttamente proporzionale all’incapacita’ dei nostri politici di governare il Paese?

Io sarei ben felice di tornare in Italia e pagare in tasse quanto pago qui, ma se -e solo se- le mie tasse venissero utilizzate per offrire un servizio ai cittadini, me incluso, e non essere utilizzate al fine di mantenere una classe politica inefficente, che mi fa addiruttura vergognare di essere italiano, quando vengo deriso o per gli scarsi principi morali dei nostri politici (gli scandali sessuali), o per le battute poco felici su altri capi di Stato e di governo (abbronzature e proporzioni dei fondoschiena), o per la scarsa democrazia (how can a media tycoon been allowed to be prime minister? E’ la piu’ comune delle domande), o per l’avversione politica alla meritocrazia ed una economia libera da lacci e lacciuoli che ci hanno visto crescere solo piu’ dello Zimbawe nel passato decennio.

Per tornare in Italia non ho bisogno di un incentivo: e’ il mio paese, ho solo bisogno di un lavoro non ottenuto grazie al vescovo, al reppresentante della Regione o al politico di turno. Un lavoro retribuito in maniera commisurata alle mie capacita’, e non un lavoro come disossatore di polli con o senza esperienza, mentre i figli dei politici occupano posizioni retribuite profumatamente, perche’ raccomandati e non perche’ “capaci”.

Per tornare in Italia e pagarci le tasse ho bisogno di un Paese democratico e meritocratico, cosa che siamo lontani anni luce dall’avere.

Un Paese nel quale la parola meritocrazia ha un senso lato, non e’ certo un Paese dove mettere le proprie radici. Rubbia, Modigliani e gli altri noti italiani, non sono espatriati a caso.

Dall’estero ci vedono come un Paese anacronistico, spaventato da globalizzazione e immigrazione: un Paese che e’ al servizio dei suoi politicanti, i quali puntano al mentenimento dello status quo, piuttosto che alla sua modernizzazione e recupero del terreno perso nell’ultimo trentennio: una nazione che -dopo la fine della Prima Repubblica- non è riuscita a rinnovare le sue istituzioni, lasciando intatti tutti i conflitti esistenti che ne costituivano -e tutt’ora ne costituiscono- il vero e proprio cancro.

Siamo visti come un Paese che non e’ molto differente dai Paesi nord Africani e del Medio Oriente, dove i despoti l’hanno fatta da padrone per il passato trentennio: che differenza c’e’ tra i politici italiani che siedono in parlamento da ormai quasi un trentennio e Mubarak? I politici europei ci guardano e pensano che nei loro paesi 20 anni fa c’erano Kohl, Mitterand, Major: oggi ci sono la Merkel, Sarkozy, Cameron. In italia nel 1994 vinse le elezioni Berlusconi e vedendo i filmati della camera ci si accorge che le faccie in 20/30 anni non sono cambiate – Bossi, Fini, Fassino, Berlusconi, D’Alema, Casini, Buttiglione, sono tanto logevi quanto i despoti mediorentali e tutti, come i despoti, si crogiolano nei loro lauti stipendi e sulla loro vita vissuta da Paperon de’ Paperoni, pagata dai contribuenti per un lavoro svolto mediocremente… senza averne le capacita. Un Paese che mungono come fosse una mucca per mantenersi i loro privilegi, e al quale non rendono niente, neanche sottoforma di prestazione lavorativa come parlamentari… perche’ fare il parlamentare e’ un secondo lavoro, o al Parlamento ci vanno quando hanno tempo.

Piu’ volte viene ripetuto dalla stampa estera (di qualsiasi colore politico) che l’Italia e’ un paese privo di personalita’ politiche, sia di governo che di opposizione, capaci di affrontare e risolvere le problematiche che affliggono il Paese. Ciò che e’ ancor piu’ scandalosamente disarmante e’ che gli stessi politici, rendendosi conto della loro scarsa efficenza ed efficacia, chiedono Governi tecnici che nessuno e’ disposto a guidare. E’ possibile che ogni volta che alla classe politica venga chiesto di riformare strutturalmente il Paese e renderlo al passo con i tempi si debba far ricorso a Governi tecnici? Non dovrebbe la politica sapersi assumere le proprie responsabilita’? L’Italia deve liberarsi dai politici che si nascondono dietro a parole come “ci vogliono 30 anni per fare il federalismo”; “la bicamerale per fare le riforme” o “governi tecnici”. Il procastinare nasconde semplicemente incapacita’ di esecuzione per carenza di idee, e non fa altro che allungare l’agonia degli Italiani.

Come siamo visti all’estero e’ ben racchiuso nelle parole degli analisti di S&P (forse anche loro italiani), che hanno  declassato l’Italia, dichiarandola meno affidabile relativamente alla capacita’ di far fronte ai debiti assunti negli anni passati.

Nel report si legge a chiare lettere che il giudizio di S&P e’ stato condizionato da tre fattori strutturali: 1) una eccessiva regolamentazione del mercato del lavoro, 2) un settore pubblico inefficente e 3) investimenti esteri quasi inesistenti.

Ma i nostri politici non prestano attenzione ai moniti, ne’ quelli dei mercati che continuano a farci credito a prezzi sempre piu’ alti (Alfano che sbraitava in Parlamento contro i mercati ad agosto era l’emblema di una classe politica che non si rende conto che se il mercato stacca la spina, l’Italia non ha i soldi neanche per accendere la luce domani mattina) ne’ a quelli delle agenzie di rating, che vengono etichettate come strumenti politici manipolati dai media.

E cosi, al pari dei politici greci che misero la testa sotto la sabbia come gli struzzi (nel 2010), oggi i nostri politici fanno altrettanto, sperando che la tempesta passi da sola, senza rendersi conto che loro sono la causa scatenante della tempesta… e la barca Italia puo’ salvarsi solo se alleggerita del loro peso.

Allora eccomi qui, seduto davanti al pc, con carta di credito in mano, pronto a prenotare un’altro biglietto per rientrare in Italia come turista a prendermi quel tanto amato caffe’… che ormai sembra essere una delle poche cose che mi manca realmente.

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