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Perché Paolo Sorrentino ringrazia Maradona

Creato il 03 marzo 2014 da Webmonster @mariomonfrecola

Paolo Sorrentino è nato a Napoli nel 1970, come me.
Il 5 luglio 1984 – data storica per i tifosi azzurri – Diego Maradona sbarca al San Paolo: sia io che il regista vincitore dell’Oscar allora eravamo incalliti quattordicenni tifosi del Ciuccio (il simpatico asino, mascotte del Napoli fino ad un recente passato). Nei sette anni di vittorie e partite memorabili (1984-1991), la presenza del fuoriclasse argentino in città ispira un’intera generazione di giovani napoletani.

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Il Pibe de Oro rappresenta l’icona della genialità, l’inarrivabile esempio sportivo.
Anche io – come ogni altro piccolo tifoso azzurro – sul campo di calcio (improvvisato per strada o organizzato), ripropongo gli irripetibili palleggi di Diego (col piede che gira intorno alla palla), tiro i rigori beffando il portiere avversario, invento punizioni con parabole che non rispondono a nessuna legge matematica e si infilano all’incrocio dei pali, dribblo gli avversari come birilli, crosso incrociando i piedi (movimento indescrivibile), palleggio con le spalle, fornisco impossibili assist ai compagni di squadra, segno gol spettacolari, rendo felici gli spettatori estasiati.

Almeno queste sono le gesta che sogno nella mia sterminata fantasia adolescenziale ogni volta che scendo in campo.

Difatti, le immagini di Maradona nella mia mente acerba alimentano l’inimmaginabile, fomentano la creatività, potenziano l’illusione, smuovono i neuroni dell’inventiva per tentare l’impresa impossibile al di sopra dei propri limiti tecnici. Il coraggio di superarsi, l’inibizione della paura: il risultato non conta, il miraggio non è poi così lontano.

Paolo Sorrentino oggi ringrazia la sua musa ispiratrice, il capitano del Napoli, il suo idolo calcistico che viveva proprio nella sua città.
Da napoletano suo coetaneo, quel «grazie a Diego Armando Maradona» non mi ha stupito.

MMo



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