Nel Pd molti se lo augurano pubblicamente, altri sono più cauti ma pensano comunque che il sindaco di Firenze, prima o poi, le valigie – quelle politiche, s’intende – debba decidersi a fare. Eppure lui, com’è noto, non ci pensa nemmeno e conferma che rimarrebbe al suo posto anche da eretico di sinistra quale, per molti versi, già è. E fa bene. Infatti ci sono almeno tre ottimi motivi per cui Renzi, nonostante i nemici che si trova in casa, non dovrebbe andarsene.
Il primo è un motivo di storia personale: Renzi non è diventato Renzi a caso, diciamolo. Parte della simpatia di cui gode tanto fra i suoi quanto nell’elettorato di centrodestra è dovuta infatti alla fama di garbato rompiscatole che si è cucito addosso in un ambiente sostanzialmente conservatore, che vuole riformare la legge elettorale, la scuola, il lavoro e in definitiva l’intero Paese ma non se stesso. In un nuovo partito, libero di fare ciò che gli pare, il sindaco di Firenze subirebbe, com’è inevitabile, un processo di normalizzazione. E lui, che non è scemo, lo sa ed evita.
La seconda ragione di permanenza renziana in casa Bersani, vicina alla precedente, è di opportunità. Un nuovo partito è facile a dirsi, ma molto meno a farsi. Chiedetelo a Gianfranco Fini che, entrato nel Pdl come leader, quando ha scelto di lanciare un partito tutto suo si è trovato prima circondato da quattro gatti e poi, nel giro di poco, neppure da quelli. Renzi non è Fini, certo. Ha un’altra età e un’altra storia, ma le difficoltà nel creare qualcosa di nuovo e soprattutto di far digerire all’elettorato l’ennesima sigla politica ci sono tutte. Senza considerare che lui stesso crede ad uno schema bipolare dinnanzi al quale ogni nuovo partito, per ovvie ragioni, sarebbe d’intralcio.
Una terza motivazione per cui Renzi fa bene a starsene dov’è è infine ideologica: evoluto e scaltro finché si vuole, ma l’uomo è di centrosinistra. Indubbiamente. Certo, sorpassa di anni luce, quanto a concezione della politica, molti dei suoi colleghi di partito, ma quello dove alberga è comunque il suo ambiente. Le prova del nove è semplice: chiedete a Renzi che cosa ne pensa delle coppie di fatto, della Legge 40 o di altri temi eticamente sensibili e vedrete che, ancorché ben celata, la sua anima progressista emergerà in fretta. Ma lui vede le cose come le vedono anche tanti nel centrodestra, obbietterà qualcuno. Vero: ma qui sono più i liberali in bioetica del centrodestra, rispetto a lui, quelli fuori posto.
Per queste tre ragioni, al di là dell’ironia con la quale viene bersagliata la sua dimora partitica, a Matteo Renzi non conviene muoversi. Per il suo bene c’è da augurarsi che un giorno possa essere qualcosa in più dell’anti-Bersani, ruolo di tutto rispetto ma senz’altro minore rispetto alle ambizioni che legittimamente un politico giovane e dotato coltiva. Nel frattempo non resta che goderci lo spettacolo, si fa per dire, dei litigi in casa Pd. Nella consapevolezza – e forse è questa, in fondo, la vera ragione per cui Renzi fa bene a non andarsene – che a un leader come il sindaco di Firenze, con la sua determinazione nel restare dov’è cresciuto e dove molti non gli vogliono bene, va riconosciuta una dote oggi rara: la coerenza politica. Scusate se è poco.