PERCHÉ SCRIVO? – La rubrica dedicata ai perché della scrittura
Lars Gustafsson
Scrivere, ama ripetere Lars Gustafsson, è come fotografare schegge della vita dell’uomo; e la letteratura, come ogni forma d’arte, ha il compito di superare la realtà per giungere al fondo delle cose, un fondo che può essere limpido o torbido, proprio come le acque dell’Amänningen.
«Non saprei cos’è più importante per me, se i miei lavori letterari o i miei scritti filosofici. Spesso non vedo un confine netto tra i due generi, e tendo a considerarmi un filosofo che ha fatto della letteratura uno dei suoi strumenti fino a farla diventare parte integrante della sua filosofia. La mia tesi di dottorato in filosofia trattava della teoria del significato quindi il mio interesse è sempre stato rivolto principalmente a quegli autori che si sono concentrati molto sul linguaggio, sulla parola. Ho sempre creduto nelle grandi potenzialità che il linguaggio ha di trasmettere non soltanto concetti, ma anche esperienze. I concetti li puoi spiegare solo mostrandoli in azione, nella realtà. Attraverso il linguaggio invece la realtà è possibile crearla, non soltanto spiegarla. Non so se ci sia un nesso, ma per esempio io non credo alla distinzione tra letteratura fantastica e naturalismo: si possono raccontare storie fantastiche con un orientamento assolutamente realistico, con dettagli presi precisamente come sono dalla realtà. Fantasie e sogni non hanno uno statuto di realtà inferiore rispetto alla realtà «vera», come d’altronde ha da tempo mostrato la psicoanalisi».
«In un romanzo non posso fare analisi filosofiche,non avrebbe senso. Ma posso mostrare un certo tipo di esperienza. Scrivendo letteratura si possono fare degli esperimenti con il pensiero che riescono molto efficaci per tante questioni filosofiche. Per esempio la questione dell’identità. Che “l’Io non è nessuno”, Schopenauer lo colse lucidamente attraverso il suo pensiero. Ma altrettanto lucidamente lo disse il poeta svedese Erik Axel Karlfeld nei suoi versi».
«Non ho mai fatto ritratti, ma nel fondo c’è sempre un’esperienza personale. In tante forme diverse nei miei romanzi ritraggo me stesso. Mi intriga il classico pensiero: che cosa ne sarebbe stato di me se..? Se anziché filosofo fossi diventato un matematico, se fosse caduta troppa neve quella sera e i miei non si fossero incontrati, se non fossi esistito o se il mio destino fosse stato diverso. Mi piace immaginare della personalità alternative. Perciò tanti miei protagonisti, l’apicultore, il piastrellista, il decano, sono creature nuove che un po’ mi assomigliano».
Estratti da interviste.
Lars Gustafsson è nato nel 1936 nella contea svedese sud-orientale del Västmanland. Studioso di matematica e filosofia, poeta, saggista, drammaturgo, romanziere e filosofo tra i più tradotti all’estero, è considerato il più internazionale tra gli scrittori scandinavi contemporanei. Ha insegnato per vent’anni Storia del pensiero europeo a Austin, Texas. Ha esordito giovanissimo riversando nelle poesie come nei romanzi quella vena fantastica, quel gioco dell’erudito che scherza con la propria erudizione, quell’ossessione per il tempo e per l’identità, che l’ha fatto definire il “Borges svedese”. In Italia ha ricevuto il Premio Agrigento nel 1991 e il Premio Grinzane Cavour. Tra i suoi romanzi più noti: Morte di un apicultore (Iperborea 1989), e Il pomeriggio di un piastrellista (Iperborea 1992). Il suo ultimo romanzo è L’uomo sulla bicicletta blu (traduzione di Carmen Giorgetti Cima, postfazione di Marta Morazzoni, Iperborea, 2015).
Il 29 ottobre Lars Gustafsson riceverà il prestigioso Premio Thomas Mann, istituito nel 1975 e fino a oggi assegnato esclusivamente ad autori di lingua tedesca.
Foto di Jaime González
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