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Perché scrivo? Patrick Modiano

Creato il 07 giugno 2015 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti
Foto di Jaime González

Foto di Jaime González

PERCHÉ SCRIVO? – La rubrica dedicata ai perché della scrittura

Patrick Modiano

Che strana attività solitaria la scrittura. Quando butti giù le prime pagine di un romanzo attraversi momenti di sconforto. Ogni giorno hai l’impressione di sbagliare strada. Ed è davvero grande la tentazione di tornare indietro e seguire un altro percorso. Non bisogna cedere alla tentazione ma rimanere sempre sulla stessa via. È un po’ come essere al volante di un’auto in una notte invernale, e percorrere una strada ghiacciata senza nessuna visibilità. Non hai scelta, non puoi fare dietrofront, devi andare avanti ripetendoti che prima o poi la strada si farà più sicura e la nebbia si dissolverà.

Quando stai per terminare un libro, ti sembra che questo cominci a staccarsi da te e respiri già un’aria di libertà, come gli scolari subito prima delle vacanze estive. Sono distratti e rumorosi, e non ascoltano più il professore. Direi addirittura che nel momento in cui scrivi gli ultimi paragrafi, il libro ti manifesta una certa ostilità nella sua fretta di liberarsi di te. E non appena hai tracciato l’ultima parola, ti lascia. È finita, non ha più bisogno di te, ti ha già dimenticato. D’ora in poi saranno i lettori che gli riveleranno la sua vera natura. In quel momento provi un grande vuoto e la sensazione di essere stato abbandonato. E anche una specie di insoddisfazione dovuta al legame tra te e il libro, legame spezzato troppo in fretta. L’insoddisfazione e il senso di incompiutezza ti spingono a scrivere il libro seguente per ristabilire l’equilibrio, senza riuscirci mai. Man mano che passano gli anni, i libri si susseguono e i lettori parleranno di un’«opera». Ma tu avrai la percezione che si sia trattato solo di una lunga fuga in avanti.

Quando ero piccolo ho cominciato scrivendo poesie, e forse grazie a questo ho capito meglio una riflessione letta da qualche parte: «I prosatori si fanno con i cattivi poeti». Inoltre, parlando di musica, il romanziere deve spesso trasporre persone, paesaggi, strade su una partitura musicale dove ritornano gli stessi temi melodici da un libro all’altro, una partitura musicale che tuttavia gli sembrerà imperfetta. Il romanziere rimpiangerà di non essere stato un musicista puro e di non avere composto I Notturni di Chopin.

Quel che aggrava il mio caso è questo fantasticare prima di iniziare a scrivere qualsiasi cosa, che è per me necessario prima passare all’atto. Sono come quelle persone che si trovano sul bordo di una piscina e attendono ore prima di immergersi: scrivere, per me, è qualcosa di sgradevole, per cui sono obbligato a sognare molto prima di cominciare a farlo, e devo trovare dei modi per rendere gradevole questo lavoro abbastanza lungo e difficile. Devo trovare un forte stimolo. Adesso ho capito, d’altronde, la ragione dell’alcolismo di molti grandi scrittori: credo si tatti di una perpetua bassa tensione e l’alcool funziona come un grande eccitante, anche quando si è finito di scrivere.

Estratto dal discorso di accettazione del Premio Nobel per la Letteratura, tenuto da Patrick Modiano il 7 dicembre 2014.

Dello scrittore francese Patrick Modiano, che il 30 luglio compirà settant’anni, è appena uscito per Einaudi il nuovo romanzo Perché tu non ti perda nel quartiere (traduzione di Irene Babboni).
Nel 2014 l’Accademia svedese gli ha assegnato il Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: «Per l’arte della memoria con la quale ha evocato i destini umani più inafferrabili e svelato la vita reale durante l’Occupazione».

Qui la nostra recensione di Fiori di rovina (Lantana, 2012).

Patrick Modiano


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