Il filosofo Pietro Barcellona, docente presso l’Università di Catania, ex membro del Consiglio Superiore della Magistratura e già deputato PCI, laico anche se avvicinatosi al cattolicesimo negli ultimi tempi, è intervenuto sulla questione affermando: «L’aumento allarmante delle manifestazioni di tipo depressivo dovrebbe indurci tutti insieme a domandarci perché nella nostra epoca gli uomini sperimentano una condizione di solitudine angosciante che non ha precedenti in altre epoche caratterizzate da disastri ambientali, pestilenze ed epidemie. Questo non significa affatto dire che si stava meglio quando si stava peggio perché nessuno vuole contestare gli effetti benefici della scoperta della penicillina o della chemioterapia, ma soltanto riaffermare che la dimensione propriamente umana della malattia e della sofferenza non ha niente a che vedere con la sua spiegazione scientifica». Il filosofo risponde ad un articolo di Gilberto Corbellini e promuove allo stesso tempo il libro appena uscito “Elogio della depressione” (Einaudi 2011).
Inutile voler ridurre la sofferenza dell’uomo a motivazioni misurabili, «il dolore umano è il più grande mistero della nostra condizione perché lega indissolubilmente la storia di ciascuno al senso dello stare al mondo e della destinazione di tutti gli esseri umani di fronte alla inevitabile percezione della caducità e della mortalità di tutto ciò che noi siamo e di tutto ciò che ci sta di fronte. La condizione umana per questa specifica comprensione del dolore trascende il pragmatismo empirico del rimedio della cura e rimanda inevitabilmente alle questioni ultime a cui la filosofia e la religione hanno cercato di rispondere nel corso della storia. La domanda sulle cose ultime è intimamente connessa all’esperienza del dolore e al senso della vita rispetto all’angoscia di morte, e perciò pone l’uomo sempre di fronte ad un problema della comprensione di sé e degli altri che non si lascia ridurre a puri meccanismi meccanici e fisiologici di causa ed effetto». Il problema appare dunque esistenziale, ed è sicuramente determinato dal tentativo violento di eclissare Dio da parte della cultura laicista. Ma da questo non deriva alcun risultato positivo per l’uomo, anzi egli appare essere «più esposto alla paura di non sapersi dare una ragione per vivere, e che spesso a causa di questa esperienza di sofferenza è colpito da malattie che riguardano anche il suo funzionamento fisiologico, è un problema che ha a che vedere anche con il modo di essere della nostra società». La crisi non è solo economica, «ma direttamente riferibile alla fragilità del nostro statuto antropologico. Il chi siamo e il dove andiamo non è un problema al quale le scienze positive potranno dare risposte». Da questo riconoscimento, compreso quello che gli esseri umani non sono soltanto biologia e non sono neppure soltanto società, dalla «consapevolezza dell’assenza di risposte» è possibile che fiorisca «l’apertura dell’essere umano verso un senso della vita che va ricercato e che, tuttavia, sempre sfugge ad ogni possesso immediato», conclude Barcellona.
Il filosofo Fabrice Hadjadj, scrittore e docente all’Università di Tolone, centrava il punto qualche mese fa: «Nel suo umanismo più rivoluzionario l’Europa ha diffuso una speranza mondana, sostituto della speranza cristiana. Ora che tale speranza è morta, il nostro Continente non conosce altro che la disperazione, che cerca di fuggire gettandosi a peso morto nel divertimento dello spettacolo e nei sogni della tecnologia».