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Perchè siamo quì!?

Creato il 06 febbraio 2015 da Dariosumer

Perchè siamo così come siamo, collocati in questo spazio-tempo, visto che la Realtà è un eterno presente?
Umberto Ridi
Perchè la mia consapevolezza di esistere è legata a una data individualità/collana di Sentire piuttosto che a un'altra qualsiasi?
(Tradotto per chi non avesse approfondito certe tematiche dell'insegnamento: Perchè siamo così come siamo, collocato in questo spazio-tempo, visto che la Realtà è un eterno presente?)
Kempis pare abbia detto che non ci sia risposta, perchè la domanda avviene in schemi relativi e vuole avere una spiegazione che ha un linguaggio oltre il relativo.
Eppure sono convinto che qualcosa si possa intuire. E' sfuggevole a qualsiasi inquadramento, un po' come quelle visioni con la coda dell'occhio che, appena si cerca di metterle a fuoco, svaniscono o prendono tutt'altro aspetto; ma si può se spostiamo la nostra attenzione sulla Realtà in essere, la quale esiste e vive perchè è sentita.
Se immaginiamo che tutto sia una vibrazione vitale consapevole a diversi gradi di sentirsi di esistere e pulsi di vita in ogni sua più piccola particella, potremmo allargare lo schema del relativo in una trascendenza intuibile se non comprensibile.
In questo senso vorrei prendere in considerazione un altro aspetto della questione che, fino a questo punto, mi sembra che sia stato trascurato. Cioè che ogni volta che focalizziamo la nostra consapevolezza in un sentire che si esprime, esiste solo quello e niente altro (anche questo è stato detto da Kempis).
E' un'affermazione pesante, ma vorrei che venisse presa alla lettera, perchè è un punto molto importante dell'insegnamento.
Dopo aver preso alla lettera l'affermazione di prima, liberiamo la parola da ogni schema e proviamo a intuire dietro le righe.
Se noi sentiamo di esistere e la nostra consapevolezza abbraccia una data realtà, è quella sola che sta vibrando e rappresenta, sente, esprime, realizza (non saprei come dirlo) l'intero Assoluto, anche se nel limite di una percezione illusoria.
Voglio dire che tutto ciò che noi siamo in grado di percepire, pensare, immaginare, e che ci appare come esterno a noi, fa parte del nostro intimo essere ed è il modo di esistere della Realtà Assoluta: "l'unico modo".
Quando entro in contatto con un evento o un altro individuo, non osservo una realtà esterna a me, ma proietto intorno a me, una mia realtà intima e la riconosco solo perchè fa già parte del mio "sentire"; è già parzialmente fusa nel mio essere e aspetta solo che la mia consapevolezza si allargi da poterla comprendere come identificazione.
Infatti, non illudiamoci di conoscere gli altri, perchè noi, quando entriamo in contatto con un individuo, facciamo un'opera di "riconoscimento" attraverso il materiale interiore a nostra disposizione, comprese tutte le contraddizione intime che producono altrettante esperienze contrastanti e dolorose.
Allora, ecco la risposta: la mia consapevolezza di esistere è legata a una data individualità/collana di Sentire piuttosto che a un'altra qualsiasi, perchè, nel momento che sento questa individualità, non esiste niente altro.
In questo senso l'Assoluto è in noi?
E' vero che la nostra non è solo "la proiezione del nostro sentire", e la molteplicità è formata da innumerevoli esseri, ma non è la stessa cosa per la consapevolezza.Infatti, per me, la consapevolezza è sempre "una".
Ripeto che quando un "sentire" sente, cioè è consapevole, è solo lui ad esistere, e allora cade la domanda "perchè proprio quello".
Il tentativo di rendere chiaro il frazionamento dell'Assoluto, è stato svolto in tanti modi, sia dai Maestri, sia nelle nostre esposizioni con schemi e descrizioni varie. Tutto va bene finchè lo schema (virtuale) e la descrizione si muovono nel relativo e restano in questo. Ma quando sorgono nuove domande, allora lo schema dimostra tutti i suoi limiti e non è più utile alla comprensione; bisogna trovare altro, o meglio, bisogna che l'idea, prodotta dallo schema, sia incrementata e sviluppata (trascesa) con altri pensieri che l'insegnamento propone.
Vi è una formula alchemica che dice: "Solve et coagula" (sciogli e addensa). E' una grande verità che descrive un processo di apprendimento che non deve fissarsi nel concetto, ma "scioglierlo" nel proprio conosciuto per, poi, sviluppare la nuova conoscenza che dovrà emergere, addensandosi, a un nuovo livello di concettualità.
E' stato spiegato che l'Assoluto si fraziona nel relativo, ma questo frazionamento non va inteso come divisione: infatti viene definito "virtuale", perchè, in effetti, ogni sentire che appare frazionato, cioè limitato, ha, in sè, tutte le qualità dell'Assoluto, solo che le manifesta in una modalità relativa e caratterizzata in modo tale che tutti gli aspetti del "possibile" abbiano modo di essere espressi.
Ripeto che (per quello che ho capito) ogni singolo sentire che esprima consapevolezza, nel momento che lo fa, sta esprimendo l'Assoluto, lo sta rappresentando nei limiti che quella forma o espressione o coscienza gli permettono e, quindi, è l'unico che esiste. Questo perchè la molteplicità è tale solo in una visione frazionata a schemi, ma non come espressione del "sentirsi di esistere".
Voglio dire che non esisteranno mai due "sentirsi di esistere" contemporanei, ma sempre uno alla volta, il quale procederà di fusione in fusione, allargando la sua espressività e riconoscendosi, infine, nell'Assoluto, da cui non si è mai realmente diviso, in quanto è sempre stato Uno con l'Assoluto, come tutta la Realtà è unitaria e mai divisa.
Dire che "noi e gli altri siamo un unico essere", non è un'espressione vuota, ma ha un contenuto di verità che deve essere compreso.
Dire che "carnefice e vittima fanno parte di un unico sentire", non è un assurdo logico, ma un livello di schema che rompe il precedente, il quale si deve "sciogliere" nella nuova idea.
La solitudine dell'iniziato, di cui hanno parlato i Maestri, forse, deriva proprio da questo attimo di comprensione che, però, deve trovare la nuova verità che da esso scaturisce.
Siamo ai limiti e, sinceramente, qui ci vorrebbe davvero Kempis.

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