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Stasera ho voglia di affrontare un argomento di cui in realtà ho già parlato diverse volte, ma sempre sfiorandolo, e mai affrontandolo in faccia, seriamente, senza tanti giri di parole.
Non sono nel mio paesino della riviera ligure stasera. Sono in un altro posto. Sempre in Italia, ma lontano da casa. Sarà solo per tre giorni, e saranno tre giorni importanti che potrebbero decidere del mio destino professionale.
Ma io non voglio parlarvi di questo.
Ho preso il treno per venire nella città in cui mi trovo adesso. E mentre viaggiavo, mentre la mia mente vagava tra il romanzo comprato all'ultimo minuto prima di salire in carrozza e il paesaggio attraversato dalla Freccia Bianca (ho scoperto dell'esistenza di questo treno solo oggi...poi devo provare quella Rossa che mi dicono essere una gran figata...) dicevo, mentre ero persa nei miei pensieri, se n'è insinuato uno ancora più grande, distogliendo completamente la mia attenzione.
Mi è tornata in mente l'immagine di mia madre che mi salutava dal binario.
Mi aveva accompagnato alla stazione.
Sarebbe stato solo un viaggio di tre giorni, ma lei si comportava come se non dovessi più tornare.
Mi guardava, mi accarezzava il faccino e mi ripeteva di chiamarla una volta arrivata a destinazione.
E mi tirava le battute, in stile: "Ma come, sei appena tornata e già riparti?". Poi rideva e mi accarezzava la testa, come per sottolineare che stava solo scherzando.
Si può mentire con le parole, ma gli sguardi tradiscono le emozioni. Sempre. E mia madre non fa eccezione alla regola.
E' rimasta sul binario a prendere del freddo (A Genova abbiamo un vento notevole che tutta Italia ci invidia, e quando oltre al vento fa pure freddo, è davvero una goduria...) finché il treno non è partito. E sono sicura che non si è mossa di lì fino a che la Freccia Bianca non è scomparsa.
Mi è tornata questa immagine mentre ero persa tra i miei pensieri durante il viaggio.
E allora, cari miei, ho cominciato a chiedermi: perchè partiamo? E quando partiamo, cosa lasciamo dietro di noi? Perchè c'è nell'uomo questo desidero innato (non in tutti, ma in gran parte dell'umanità) di mollare tutto e scoprire il resto del mondo, o almeno una piccola parte?
Io sono partita per l'Australia per colpa del sistema Italia. E a quanto pare non sono l'unica.... :-D
Ma siamo sicuri che sia questa la ragione vera e ultima?
E allora perché sono tornata? Perchè molta gente, alla fine, torna?
Perchè ci manca la famiglia, gli spaghetti, la tradizione, la storia, pizza e fichi, eccetera...no, non è solo per questo.
Siamo noi l'origine e la fine di tutto. Siamo noi la causa della nostra dipartita e del nostro rientro.
Non è solo l'Australia che ci renderà felici, non è l'Italia che ci regalerà la serenità eterna, non c'è niente di materiale che potrà rassenerarci, se non siamo noi sereni prima di tutto.
E ora molto di voi mi staranno maldicendo per queste cavolate...e lo capisco.
Voi mi direte che uno scappa per la crisi, perchè all'estero ha più possibilità di crescita, perchè questo paese fa schifo, e per tutti i motivi che noi tutti conosciamo fin troppo bene.... quindi la smetto di fare l'elenco.
Ma quando sono arrivata a Sydney, io del mio lavoro, della mia vecchia vita, non ne volevo sapere.
E io stessa ne ero stupita, mi domandabvo come mai non fossi alla ricerca del lavoro perfetto...del riscatto professionale.
Ora lo so il perchè. La ragione della mia partenza era, in apparenza, molto più semplice: io volevo solo essere felice.
Ho fatto la cameriera e non me ne vergogno. Ho cercato altri lavori più legati a ciò che facevo prima in Italia e non ho trovato niente, ma non ho mai versato una lacrima per questo.
Sono partita da Genova con tanta rabbia nel cuore...in parte dovuta ai casini e alle delusioni professionali, ma in realtà cercavo solo di trovare la felicità interiore che avevo perso da troppo tempo.
L'Italia mi aveva portato via la serenità. Mi sentivo messa in discussione da tutto e tutti, sentivo che dovevo dimostrare sempre qualcosa a qualcuno...sentivo che non valevo mai abbastanza per la società...
E l'Australia invece mi ha aiutato. Nessuno ti mette in discussione, fai quello che vuoi fare e che puoi fare e se c'è un popolo a cui non frega niente di dimostrare qualcosa sono proprio gli australiani. Certo, ci tengono ad avere un bel lavoretto e una bella casetta, ma non devi rompere loro troppo le scatole perchè loro sono sereni così.
L'Australia mi ha insegnato questo. Io adesso non ho più voglia di essere messa in discussione da nessuno, voglio vivere solo seguendo il mio vero essere, senza soffocarlo o forzarlo a comportarsi diversamente perchè è la società a volerlo. Voglio vivere come gli australiani. me fanno gli australiani.
Lavorando in un settore che non mi apparteneva, ho scoperto quanto mi mancasse la mia passione, scrivere, ho scoperto quello che mi piace davvero fare nella vita. Ho capito meglio me stessa e ho imparato ad essere serena, anche con molto meno. Perchè non ci sarà niente di materiale che potrà contribuire alla tua felicità se tu, prima di tutto, non sei in pace con te stesso.
Voglio fare il lavoro che amo, se è possibile, e non quello che la società o la moda del momento esigono da me.
Prima di Sydney, io ho seguito come un percorso prestabilito: lavoro che doveva essere di un certo livello (giornalista...e poco importa se ho mangiato merda per anni, con contratti da denuncia e trattamenti da circo), ragazzo fisso, casa e prossimo matrimonio (perchè a 30 anni se non sei sposata o strafidanzata non va mica tanto bene).
Sono stata a queste regole per troppo tempo. E poi sono esplosa.
Perchè io, sotto sotto, non mi sono mai ritrovata in quello schema. Mi piaceva scrivere, ma forse non a livello giornalistico. Mi piaceva avere un ragazzo, ma io di sposarmi non ne avevo molta testa.
Insomma, mi sono sforzata di seguire queste regole e ho abbandonato i miei sogni.
C'è stato un periodo in cui andavo in chiesa tutte le domeniche perchè pensavo fosse giusto così, e recitavo preghiere trite e ritrite in una sorta di cantilena, senza neanche soffermarvi sulle parole, perchè pensavo fosse giusto così.
Ma quella non era fede. Quella era una strana forma di bigottismo, un essere fedele per dogma e non per vera passione e credo.
Ecco, la mia vita era un dogma. Era un attenersi alle regole ferree della società.
Ho scelto l'Australia inconsapevole del bene che questo paese mi avrebbe fatto. Ho preso il biglietto per Sydney perchè era il posto più lontano dalla mia terra.
Non sapevo come si vivesse nella terra dei canguri. Ora lo so. Non ci sono ferree regole sociali in Australia.
Laggiù puoi essere quello che vuoi.
Ci ho messo un anno per capirlo. E dopo, consapevole di questa esperienza, consapevole del fatto che mi sentivo cambiata, più forte, sono tornata indietro.
Certo, magari avessi trovato un bel lavoro o un bel fidanzato, sarei anche rimasta. Ma a quel punto il motivo sarebbe stato solo l'opportunità di realizzarmi professionalmente o l'inizio di una bella storia d'amore. La priorità non sarebbe più stata la mia serenità personale, perchè quella ormai l'avevo raggiunta.
Ero pronta per tornare a casa e ricominciare, più forte, il mio cammino. Avevo capito di non aver bisogno della lontananza per essere felice.
La lontananza mi ha aiutato a ritrovare me stessa, perché mi ero persa.
Ho dovuto "distruggermi" in un certo senso (cambiando paese, sradicandomi dalla mia terra e dalla mia famiglia, lavorando in un settore completamente diverso, reinventandomi come persona) per costruirmi di nuovo e capire quale direzione intraprendere.
Ma questa è solo la mia storia. I motivi per partire sono diversi, molti sono legati davvero solo alla ricerca del posto di lavoro perfetto (o comunque a livello delle capacità della persona), ma credo che molti altri siano legati alla mancanza di serenità interiore dell'individuo.
Il viaggio, in fondo, può essere visto anche come qualcosa di interiore: andiamo alla ricerca di noi stessi e per farlo dobbiamo lavorare su noi stessi, metterci alla prova in tutti i modi per capire veramente chi siamo e dove vogliamo andare.
Per parafrasare lo scrittore Paulo Coelho, ognuno di noi ha il dovere di realizzare la propria Leggenda Personale.
la tua Leggenda Personale. [...] è quello che hai sempre desiderato fare. Tutti, all'inizio della gioventù, sanno qual è la propria Leggenda Personale. In quel periodo della vita tutto è chiaro, tutto è possibile, e gli uomini non hanno paura di sognare e di desiderare tutto quello che vorrebbero veder fare nella vita. Ma poi, a mano a mano che il tempo passa, una misteriosa forza comincia a tentare di dimostrare come sia impossibile realizzare la Leggenda Personale. [...] Sono le forze che sembrano negative, ma che in realtà ti insegnano a realizzare la tua Leggenda Personale. Preparano il tuo spirito e la tua volontà. Perché esiste una grande verità su questo pianeta: chiunque tu sia o qualunque cosa tu faccia, quando desideri una cosa con volontà, è perché questo desiderio è nato nell'anima dell'Universo. Quella cosa rappresenta la tua missione sulla terra. [...]l'Anima del Mondo è alimentata dalla felicità degli uomini. O dall'infelicità, dall'invidia, dalla gelosia. Realizzare la propria Leggenda Personale è il solo dovere degli uomini. Tutto è una sola cosa. E quando desideri qualcosa, tuttol'Universo cospira affinché tu realizzi il tuo desiderio.
Questo è un brano tratto dall'Alchimista, il suo vero capolavoro. Consiglio di leggerlo a chiunque intenda intraprendere un viaggio
E con queste parole mi congedo.
La Maga New Age
COMMENTI (1)
Inviato il 07 agosto a 04:37
Mi hai schiarito le idee, cara.. :)
Un abbraccio, grazie.