Perciò veniamo bene nelle fotografie

Creato il 16 aprile 2012 da Federicobona @Federico_Bona

Mi verrebbe da definirlo un capolavoro, ma mi trattengo: non farei un buon servizio né a chi mi legge né all’autore, oltre che a me stesso. È che in un panorama di tale mediocrità letteraria, appena uno mostra qualche numero, uno scarto dalla norma, urlare al miracolo è la reazione più immediata. E qui c’è ben più che qualche semplice numero. Intanto, per cominciare, c’è un coraggio enorme: scrivere un romanzo in versi, oggi, ne richiede davvero tanto. Il 90 per cento delle persone si chiederà che cosa sia, un romanzo in versi. Anzi il 99 per cento. Eppure, anche se il parente più prossimo a questo libro è l’immenso Elio Pagliarani – da poco scomparso – la poesia è nata raccontando storie: l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide, la Divina Commedia. È che siamo stati tutti rovinati dal trattamento qualunquistico riservato dalla scuola alla lirica otto-novecentesca. Siamo stati fiaccati da Leopardi, distrutti da Ungaretti, spazzati via da Quasimodo. Così, se non hai avuto la fortuna di leggere poesia da solo, non capisci come, usando un verso libero – che tanto però deve al verso classico – si possano raccontare storie. Non capisci come si possano usare parole comuni, espressioni calcate sul parlato, inserire con disinvoltura Google, Tv Sorrisi e Canzoni e il Pam. Perché tutto questo ci può stare, nella poesia, e per fortuna ci sta nel romanzo in versi di Targhetta, che si propone di raccontare le disavventure di un gruppo di giovani – un po’ tardivi, all’italiana – uniti quasi solo dal condividere, da coinquilini, un appartamento a Padova. C’è il dottorando che tenta la carriera universitaria, l’amico che si arrangia finché d’improvviso non passa a dirigere le risorse umane di una società, l’altro che arrotonda al Brico. Ci sono sbronze e ragazze da rimorchiare. Ci sono pizze d’asporto, vicini indiani, film iraniani e supplenze in un istituto tecnico, che elencati così potrebbero anche sembrare stereotipi. Invece Targhetta fila sicuro, con un ritmo scandito da endecasillabi, settenari e rime interne, senza un preziosismo e senza piangersi addosso, solo con un’amarezza di fondo che è quella di questi tempi strani. Uno poi è libero di non crederci, ma dovrebbe quantomeno entrare in libreria, aprire il libro, provare a leggere il primo capitolo – o canto? – e vedere che effetto fa. Se mi fate sapere lo apprezzo.

Perciò veniamo bene nelle fotografie, Francesco Targhetta (Isbn Edizioni, 228 pp, 19,90 €)

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