Le ultime lettere di Jacopo Ortis si prendono un momento di riposo. Che, se quelle son state partorite dopo un persorso, esiste il qui ed ora che chiede spazio.
La cosa migliore, di questi post, lasciatemelo dire, son stati i commenti. Tutti, nessuno escluso.
Però dai commenti lasciatemi estrarre queste righe di Anonimo SQ, che passa di qui per la prima volta, e dice tutto quello che c’è da dire, dando forma e voce ai miei pensieri più e meglio di quanto avrei potuto fare io:
Purtroppo non è solo un’impressione personale: dall’inizio degli anni 2000 (anche se prima non erano sempre rose e fiori) gli investimenti nelle aziende italiane sono crollati, tanto di più quelli dall’estero.
E se si vuole far concorrenza alla Germania, che invece gli investimenti li ha fatti eccome, bisogna aumentare la produttività, e si può fare solo investendo in impianti + moderni ed efficienti. Ma dove sono i soldi ?
E allora si sente dire (dai tedeschi per primi) che, non potendo più svalutare la moneta, e non volendo/potendo fare investimenti l’unica via per abbassare i costi per unità di prodotto è lavorare più giorni/ore a parità di stipendi (diminuiamo le ferie, ne facciamo troppe, aumentiamo l’orario) o abbassare la retribuzione oraria (tagliamo gli stipendi del 30 %). Così avremo più PIL, meno tasse, meno debito/PIL etc etc etc. Il guaio è che, tecnicamente, han ragione i tedeschi.
Domanda: chi ha governato dai primi anni 2000 ad oggi, salvo i meno di due anni del Prodi2 ? E cosa ha fatto di politica industriale, a parte mettere in discussione l’articolo 18 con Sacconi, per due legislature con una maggioranza che neanche De Gasperi ?
Ora paghiamo le cose non fatte 10/15 anni fa, anche se correggiamo la rotta, vedremo i frutti tra 20 anni: ma lo stiamo facendo ? E, soprattutto, chi ne parla di queste cose al paese ?
Più incisivo, ed acuto, e chiaro di molti articoli di fondo di economisti di chiara fama che mestano la minestra senza arrivare al dunque.
La cura è questa, e ci vorranno vent’anni prima che faccia effetto. I cinesi d’Europa. D’altronde, quello fummo negli anni del boom economico che oggi tanto magnifichiamo. La cura può non piacere, ma fra un po’ il malato sarà morto, non è che le alternative siano molte, in effetti.
Lascio solo una, doverosa, chiosa.
Chi passa su queste pagine da un po’ sa che, tempo fa, sostenni che l’uscita dall’Euro non sarebbe stata un male, per l’Italia. Avrebbe consentito le manovre svalutative che, per una vita, son state parte integrante del nostro sistema economico.
Mi mangio il cappello, ho detto una gran cazzata. L’importante è accorgersene. Intendiamoci il ragionamento, dal profilo strettamente economico fila.
Ma, tutto considerato, sarebbe una scorciatoia. E questo Paese, a forza di scorciatoie, s’è trovato in mezzo alla palude. Forse è arrivato il momento di percorrere le tracciate rotte e fare i compiti anziché sbirciare i quaderni dei compagni di banco.
E, soprattutto, pensare di lasciare un meccanismo delicato quale la svalutazione della moneta ad una classe politica totalmente inadeguata, è pensiero da far tremare i polsi.