La lettura deve diventare una sorta di centro di comando, o di potere, nella vita di chi vuole scribacchiare. Solo se si accetta questo, e si è forniti di talento (oltre a dedicarsi a questo mestiere a ogni costo) si riuscirà a conseguire qualcosa.
E se non lo si considera un mestiere, con tutti i doveri e i pochi piaceri che ne derivano, allora posso quasi scommettere che si tratti di un mucchio di chiacchiere e nient’altro.
Per fortuna, il mondo è pieno di gente che scrive, ma non ha alcuna intenzione di capovolgere la sua vita, e di mettere al centro la lettura (e quindi la scrittura). Questa è una buona notizia.
Quella cattiva è che occorre essere davvero bravi.
Di solito dico che non ci si deve preoccupare troppo della marea degli autori che ci sono in giro: spesso non valgono nulla. Galleggiano grazie alla loro presunzione.
Sono quelli che veleggiano alla grande il vero problema. Gabriel Garcia Marquez, Cormac McCarthy, Raymond Carver, eccetera eccetera: sono nomi che fanno paura. Ma spesso il senso di inadeguatezza che si prova quando si leggono le opere di questi autori serve da sprone.
Torniamo però a quanto dicevo.
Leggere, o scrivere, vuol dire fare a meno di abitudini condivise da amici o familiari. Con amici e familiari. Non sono il tipo che crede nella volontà, perché non è sufficiente, mi spiace. “Volere è potere” vale in molti ambiti, ma temo che nella scrittura non basti.
Quello che spesso non si ha il coraggio di ammettere, è che la lettura, e la scrittura, fanno a cazzotti con un sacco di belle cose. In esse non c’è nulla di male, sia chiaro. Tuttavia sono di ostacolo. La soluzione che si adotta è fare finta di nulla per un po’. Una specie di compromesso. Ma due strade che proseguono parallele, è difficile che prima o poi non si trovino a un incrocio. E a quel punto occorre decidere. Può esserci l’impatto. Oppure si riesce a evitarlo, ma a quel punto, non si può più procedere. Occorre scegliere.
Immaginare che scrivere non comporti qualche prezzo da pagare è come scegliere di scalare senza mai faticare. O farsi del male. Capita, prima o poi. D’altra parte, decidersi e affrontare la scrittura o la lettura con in mano il cronometro (trenta minuti per l’una, trenta per l’altra) dimostra solo abitudine. Non è quello che ci vuole. Se non si è disposti a perdere la testa, la cognizione del tempo e un po’ anche la salute, significa che per noi le cose importanti sono altre.
Non la scrittura né la lettura però.