Napoli. Demetrio Perez (Luca Zingaretti) è un avvocato d’ufficio, professione che svolge meccanicamente, con l’impassibilità propria di un semplice passacarte.
E’ stanco, sfiduciato, gli ideali, la passione, che probabilmente un tempo lo animavano, hanno lasciato il campo ad una rituale amministrazione della giustizia in nome della mera verità processuale.
Nel corso dei vari processi assiste individui ai margini del vivere sociale, spesso affiliati ad associazioni criminali, e si limita ad annuire, con fare rassegnato ed abulico.
La disillusione sembra essere la sua sola compagna di vita da quando la moglie lo ha lasciato, ogni azione è protesa a mettersi al riparo da ogni possibile evento infelice, all’interno di una circoscritta ignavia esistenziale.
Un solo amico, il collega Ignazio Merolla (Gianpaolo Fabrizio), cinico loser, con un passato segnato dalla morte del figlio, tanto tragica e sconvolgente da non consentire alcuna elaborazione in proiezione almeno di un migliore presente.
Ma vi è qualcuno nei cui confronti Perez prova ancora un forte affetto, pur nella difficoltà, reciproca, di esternarlo, la figlia Tea (Simona Tabasco): per lei scenderà a patti col subdolo Luca Buglione (Massimiliano Gallo), camorrista collaboratore di giustizia, pronto ad incastrare il fidanzato di Tea, Francesco Corvino (Marco D’Amore), violento e ambiguo delinquente, in cambio di un semplice favore, recuperare una partita di diamanti dallo stomaco di un toro …
Luca Zingaretti (Movieplayer)
Seconda regia di Edoardo De Angelis (autore anche della sceneggiatura insieme a Filippo Grovino) dopo Mozzarella Stories (2011), Perez., presentato Fuori Concorso alla 71ma Mostra Internazionale d’ Arte Cinematografica di Venezia, è, ad avviso di chi scrive, un film pregevole, idoneo ad inserirsi fra quei titoli italiani di recente uscita volti a riscoprire i generi cinematografici e connotarli con una certa originalità, tanto a livello propriamente stilistico-visivo, quanto di contenuti.
Siamo di fronte infatti ad un classico noir, dalla dichiarata ispirazione chandleriana, come evidenziato dalla voce fuori campo ad esternare i pensieri del protagonista il cui nome dà il titolo alla pellicola, reso con realistica mestizia e toccante disincanto da un più che bravo Zingaretti.
La suddetta voce s’inserisce nella narrazione con discontinuità, evitando così un possibile didascalismo. Vi è poi il forte legame ambiente-personaggi, con il primo rappresentato da una città di Napoli visivamente lontana dallo stereotipo di solare e colorata “splendida cornice”, bensì raffigurata dalla mirabile fotografia di Ferran Paredes Rubio all’interno del moderno Centro Direzionale (opera dell’architetto Kenzo Tange). Un luogo asettico nella sua perfezione astrattamente geometrica, una struttura in vetro e acciaio che ben si presta ad un suggestivo gioco di luci ed ombre.
Zingaretti e Marco D’Amore
Una città quindi gelida e spettrale, protesa da un punto di vista figurativo verso quella metà oscura con cui l’animo umano, anche il più puro ed adamantino, volente o nolente, si trova spesso a dover fare i conti, sia che si tratti di un camorrista “funzionalmente” pentito (l’inquietante personificazione di un moderno Mefistofele offerta da Massimiliano Gallo), sia di avvocati cui l’opportunità di un improvviso ed illecito guadagno potrà permettergli un’esistenza più agiata ma non di fare pace con la propria coscienza (il bel personaggio di Gianpaolo Fabrizio, la staticità esistenziale di chi fatica ad andare oltre un pur doloroso passato). O, ancora, di un delinquente dai modi in egual misura affabili e violenti, capace di usare se stesso e quanti gli sono vicini solo per il proprio tornaconto (D’amore, un’interpretazione efficace, ma un po’ di routine) ed infine di una donna (la brava Tabasco, esordiente) che vede nel’amore un affrancamento dalla figura paterna.
La regia di De Angelis mi ha affascinato in particolare per la capacità d’inserirsi all’interno della narrazione in modo equilibrato, la macchina da presa non è mai propriamente invasiva, pur nella sua estrema mobilità nel seguire ogni azione e spostamento dei personaggi, ora lasciando che siano quest’ultimi ad avvicinarsi, ora accostandosi ai loro volti per sottolineare con incisivi primi piani le sofferte mutazioni d’animo. Considerato poi come il fluire narrativo prediliga ritmi abbastanza ponderati, idonei ad assecondare il “normale” andamento dei vari accadimenti, anche nelle sequenze d’azione, appare certo valido il supporto offerto da un montaggio abbastanza serrato (Chiara Griziotti).
Zingaretti e Simona Tabasco (Movieplayer)
Solo nella parte che volge verso il tragico finale mi è parso di notare qualche sfilacciatura nella scrittura ed una regia improvvisamente cedevole, ma l’inquietudine ed un certo livello di suspense sono sempre avvertibili, sino a delineare nella sequenza conclusiva un concreto, quasi fastidioso, senso di drammatica sospensione morale: il delitto troverà probabilmente il suo castigo nei tormenti che avvolgeranno prima o poi i meandri più reconditi della propria anima, pur nella completa simbiosi col modus vivendi inerente a chi tali ambasce le ha da tempo messe da parte; l’addio al passato e la possibilità di ricominciare una nuova vita (padre e figlia ormai riconciliati, che si sfilano l’uno la fede nuziale l’altra l’anello di fidanzamento) dopo la discesa agli inferi trovano attuazione nelle forme di una sentenza inappellabile, in quanto pur nel riscatto non si è certo risorti alla condizione di uomo migliore.
Sufficientemente solido ed originale, ben scritto, diretto ed interpretato, Perez. è un film da vedere, concreto segnale di un cinema italiano ancora capace di rinnovarsi offrendo una varietà di proposte, riprendendo quanto scritto nel corso dell’articolo, la cui validità è ulteriormente testimoniata dall’acquisto dei relativi diritti per un probabile remake americano.