CinemaMania
le pellicole che – dicono – stanno sbancando al botteghino
Perfetti sconosciuti
Titolo: “Perfetti sconosciuti”
Regia: Paolo Genovese
Sceneggiatura: Paolo Genovese
Genere: commedia
Durata: 130 minuti
Interpreti: Valerio Mastrandrea: Lele; Kasia Smutniak: Eva; Marco Gallini:Rocco; Anna Foglietta: Carlotta; Edoardo Leo: Cosimo
Trama: Quattro coppie di vecchi amici organizzano una cena a casa di Eva, la quale, per movimentare la serata, propone di fare un gioco: ciascun convitato deve posare il proprio telefonino sopra il tavolo, mostrando a tutti il contenuto dei messaggi e rispondendo in viva voce alle chiamate. Quello che pareva un’innocente divertissement, si rivelerà presto fonte di spinosi grattacapi…
di Jacopo Giunchi
Ottimi attori, sceneggiatura intelligente, regia invisibile, risate e lacrime in parti uguali: questi gli ingredienti usati per preparare Perfetti sconosciuti, splendida commedia conviviale che guarda al cinema francese, aggiungendo una saporita dose di italianissima veracità. La pellicola è adatta a tutti i palati e riesce a far ridere genuinamente, senza tralasciare spunti di riflessione (anche piuttosto salati). L’idea alla base è molto semplice: cosa accadrebbe se il nostro partner o i nostri amici potessero avere un assaggio dei segreti contenuti nel nostro telefonino?
Probabilmente, la risposta è che ne vedrebbero di cotte e di crude. Ci si aspetterebbero subito le più piccanti rivelazioni, ma Genovese evita la banalità e riserva questi bocconi per il finale, proponendoci prima una serie di sfiziosi antipasti dove affronta temi secondari: vecchiaia, paternità, amicizia, omofobia e molto altro ancora. Il tutto annaffiato con efficacissima comicità, anch’essa variegata e originale: abbiamo sia le plateali spacconate romanesche, sia gli algidi commenti cinici, sia la raffinata e indiretta satira sociale.
L’ilarità è snocciolata con maestria, in modo da sostenere quanto basta una sceneggiatura dal ritmo sinuoso, che cuoce a fuoco lento. Serve inoltre a sfumare l’amarezza dei momenti drammatici, che sono presenti in egual misura; a questo proposito, è esemplare il momento in cui due personaggi si scambiano i telefonini: una trovata deliziosa, grazie alla quale alcuni degli scambi più aspri e salienti vengono racchiusi all’interno del collaudatissimo espediente dell’equivoco. Gli apici drammatici sono anch’essi riuscitissimi e sprigionano tutta la tensione stratificatasi nel minutaggio precedente. Questa delicata commistione consente di iscrivere facilmente Perfetti sconosciuti all’interno del genere “dramedy“.
Il film è stato servito al pubblico come una sorta di riflessione sull’impatto della tecnologia portatile nella vita quotidiana. In realtà gli smartphone fanno solo da condimento a una commedia che potrebbe farne a meno (e alcune gag ne fanno effettivamente a meno). L’ingrediente principale sono i torbidi segreti che affoghiamo sotto la scorza ipocrita di una famiglia da Mulino Bianco, non certo le riflessioni sulla deriva ipermediale (su questo tema consigliamo invece il più serio Disconnect); i birignao sulla “scatola nera delle nostre vite” sono infatti i punti più bassi del film e si presentano quasi come dei corpi estranei, delle guarnizioni posticce aggiunte a fine cottura per esaltare la componente “apocalittica” su cui era imperniata la pubblicità.
Un nutrito cast di attori dà vita a questa frizzante sceneggiatura: il saggio e verace Gallini, la dolce e tenera Rohrwacher, il cinico ma fresco Mastrandrea, la raffinata e seducente Smutniak, il vitellone borgataro di Edoardo Leo, l’algida e compassata Foglietta, per non parlare del loculliano gigioneggiare di Battiston. Ciascuno sfodera un’eccellente performance, che conferisce al film una nota particolare e concorre a realizzare un cocktail davvero esplosivo.
La tematica che questa pellicola affronta più apertamente è sicuramente la falsità: con gli amici, coi parenti, con il partner, ma anche con il mondo stesso. Anche le amicizie d’annata, apparentemente solidissime, si rivelano meno genuine di quel che sembrava, figli e genitori sono usati come riempitivi o capri espiatori, mentre i partner devono avere il prosciutto sugli occhi per non vedere come vengono platealmente infinocchiati. Falsità così profonda che fagocita il film stesso: nonostante l’impiattamento leggero e scanzonato, si tratta infatti di un selfie cinico e impietoso delle relazioni umane.