Magazine Psicologia

Pericolo, rischio, equivoco

Da Bruno Corino @CorinoBruno

Pericolo, rischio, equivoco,
Nella vita quotidiana parliamo spesso di cose pericolose, rischiose o equivoche. L’osservazione può essere estesa tanto alle cose quanto a luoghi, a persone, o anche alle stesse relazioni (pensiamo al famoso epistolare Les liaisons dangereuses di Pierre Choderlos de Laclos del 1782). Mi sono domandato in base a quali criteri andiamo a classificare una situazione, un luogo, una persona in un modo piuttosto che in un altro. Quand’è che una cosa viene percepita come pericolosa, rischiosa o equivoca? Ad una prima approssimazione, direi che tutto ciò che presenta una minaccia manifesta, evidente tale da incutere paura, viene percepito come qualcosa di pericoloso. In altri termini, quando sappiamo in anticipo quale minaccia possiamo aspettarci da un determinato evento, esso viene percepito come qualcosa di pericoloso per la nostra esistenza. In questo caso, siamo in grado di sapere in anticipo l’effetto che l’evento può provocare su di noi (o su ciò che ci è caro). Ma come facciamo a conoscere in anticipo quando effettivamente qualcosa diventa pericolosa? Cioè quando si ha la percezione netta che la tal cosa è pericolosa? Quando appunto si conosce il limite oltre il quale non si può andare.
Quando, invece, qualcosa, pur presentando una minaccia evidente, palese, ma non sappiamo in quale preciso momento può rivelarsi tale, non sappiamo cioè definire il limite preciso oltre il quale andare, allora essa può essere percepita come qualcosa di rischioso. Sappiamo che l’evento può rivelarsi pericoloso, ma non sappiamo quando, in quale preciso istante. Questo stato di incertezza dipende dal fatto di non sapere in anticipo quale sia il limite oltre il quale possiamo spingerci. Qualora fossimo in grado di definire il limite oltre il quale non bisogna andare, avremmo creato uno stato di sicurezza. Il rischio dipende dal fatto di non conoscere il limite massimo, dipende dunque da questo stato di incertezza.
Un buon esempio per capire la differenza tra una situazione pericolosa e una situazione rischiosa potrebbe essere questo: immaginiamo di dover attraversare un ponte con un automezzo che non sopporta più di cento tonnellate di peso. Se il mezzo pesasse centodieci tonnellate, il passaggio sarebbe pericoloso. Se invece il mezzo pesasse cento e una tonnellata, il passaggio diventerebbe rischioso. Fidandoci di quello che il cartello attesta, possiamo anche ipotizzare che con una o una mezza tonnellata di peso in più il ponte potrebbe reggere, ma non siamo certi. Ecco, il punto è proprio questo: qual è il limite oltre il quale il carico diventa insopportabile per il ponte? È evidente che ogni volta che l’automezzo viene caricato di un chilo in più, oltre il lecito consentito, la situazione si fa sempre più critica. Quindi, più quel limite viene superato più la situazione si fa rischiosa. Oltre, diventa palesemente pericolosa. Così accade anche nelle relazioni umane. Spingersi oltre il lecito, può provocare una reazione pericolosa; ma si può anche sondare quale sia il livello di sopportazione di una persona, ossia sino a che punto può tollerare le nostre “deviazioni”. In ogni circostanza, situazione, evento se abbiamo presente un limite definito, allora possiamo anche sapere quando una situazione diventa pericolosa, o quando, se “lambito”, può generare una situazione rischiosa, ma se il limite è del tutto indefinito, indeterminato, “screpolato”, allora la situazione diventa “equivoca”. Un limite indefinito si ha quanto è possibile interpretarlo tanto in un senso quanto in un altro. Si è in una sorta di “terra di nessuno”, o in una “terra di mezzo”, in cui non si sa se sia più “rischioso” andare avanti o tornare indietro. Si sta quindi sospesi tra il “sì” e il “no”. Rimanendo in questa situazione sospesa non si ha neanche consapevolezza da dove, come e quando la minaccia può concretizzarsi. In questo stato di cose, si vive una situazione angosciante, in cui s'avverte che qualcosa di minaccioso possa accadere ma non si sa né se accadrà né se non accadrà. Trovarsi in uno stato equivoco, in uno stato “omogeneo”, privo di distinzioni, senza identità o punti di riferimento, vuol dire  trovarsi in uno spazio non-umano, non simbolico: essere in un “luogo perturbante”, dove non ci sono regole da rispettare né da osservare. Il luogo indifferenziato o il Caos è ciò che viene percepito con angoscia, ciò che suscita un timore o un terrore angosciante: «Nell’angoscia», scrive Ernesto de Martino, «si sperimenta non già la minaccia di questo o di quello, ma di non poter decidere un questo o un quello per entro l’ordine di un mondo […] Nell’angoscia il nulla avanza: non il nulla di questo o quello, ma della stessa energia culturale qualificante, e della stessa apertura all’essere». Lo stato angoscioso si prova quando si perdono i punti di riferimento della nostra esistenza. La “paura”, come spiega Freud, «richiama l’attenzione proprio sull’oggetto», invece l’«“angoscia” si riferisce allo stato e prescinde dall’oggetto». La paura si riferisce all’oggetto determinato, l’angoscia non ha un punto di riferimento: perciò si configura come uno stato di attesa di qualcosa di minaccioso che sta per accadere, ma di cui non si conosce né il momento in cui accadrà né gli effetti che provocherà


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog