Introduzione di Matteo Vitiello
Attenti alle multinazionali. Ora più che mai. L’accordo TTIP, in via d’approvazione, renderà il mondo ancor più succube delle politiche economiche dei magnati dei colossi che controllano commercio e mercato degli investimenti mondiali.
Una dichiarazioni come “Qualsiasi entità economica privata, se espropriata dei suoi attuali investimenti, avrebbe diritto a compensazioni a valore di mercato, aumentate di interesse composto”, presente nella bozza dell’accordo TTIP divulgata dall’UE, è solo un esempio dell’enorme tela di ragno che stanno tessendo per rendere le multinazionali intoccabili e nettamente superiori alle giurisdizioni dei singoli Governi nazionali (tra l’altro, in via d’estinzione).
A completare l’astuto disegno previsto dal TTIP, verrà definito anche Multilateral Agreement on Investment (MAI), l’accordo economico internazionale, in fase di discussione “confidenziale” dal 1995 presso OCSE, volto a creare “una una carta dei diritti e delle libertà per le aziende multinazionali, al fine di rendere più facile per gli investitori individuali e aziendali lo spostamento di capitali all’estero in valuta e sotto forma di immobili industriali”.
Vi lascio alla lettura dell’articolo di Lorenzo Piersantelli su questo tema, ricordandovi che già nel 2012, nell’articolo “Bilderberg: ecco la sporca agenda segreta dei capi del mondo” avevo elencato i principali obiettivi a lungo termine del Bilderberg:
Un’identità internazionale. Distruggere l’identità nazionale, cioè depauperare la sovranità degli Stati (come sta accadendo sotto i nostri occhi, ndr), per stabilire valori universali obbedienti ad un unico governo mondiale.
Un controllo centralizzato della popolazione. Lavando il cervello alla popolazione (attraverso la televisione e gli altri mezzi di comunicazione, anche Internet, ndr), l’obiettivo è quello di eliminare la classe media.
Una società a crescita zero. Se c’è prosperità, c’è progresso e la prosperità ed il progresso impediscono esercitare la repressione. Prevedono che il fine della prosperità avverrà con lo sviluppo dell’energia elettrica nucleare e con la completa industrializzazione (a parte per i settori informatici e dei servizi) e con la completa esportazione delle più grandi imprese nei paesi dove la manodopera è più economica.
Uno stato di disequilibrio perpetuo. Se si creano crisi artificiali che sottomettano la popolazione ad una coazione continua, si può mantenere uno stato di disequilibrio continuo.
Un controllo centralizzato dell’educazione. L’Unione Europea e le future Unione Americana e Unione Asiatica puntano ad avere un controllo sulla cultura e sull’educazione dei giovani, sterilizzando il più possibile la storia del mondo.
Un controllo centralizzato di tutte le politiche nazionali ed internazionali.
La concessione di un maggior potere alle Nazioni Unite. Il sistema dell’ONU ha come obiettivo costruire un governo mondiale dichiarato ed in seguito un governo mondiale di fatto, per poi esigere una tassazione diretta da parte nostra in quanto “cittadini mondiali”. Bella la globalizzazione, vero?
Un blocco commerciale occidentale. In seguito all’espansione del North American Free Trade Agreement (NAFTA), si formerà un’Unione Americano-Europea per fomentare il libero commercio e gli investimenti a livello intercontinentale.
L’espansione della NATO. Man mano che la ONU continuerà ad intervenire sempre più nei conflitti bellici in Medio Oriente, Africa e così via, la NATO si convertirà nell’esercito mondiale, sotto comando della ONU.
Un sistema giuridico unico. Il tribunale Internazionale di Giustizia diventerà l’unico sistema giuridico del mondo.
Uno stato di benessere socialista. Scopo dei rappresentanti del Bilderberg, CFR e della Commissione Trilaterale è creare uno stato di benessere socialista, nel quale si compensano gli schiavi obbedienti e si sterminano gli anticonformisti.
Dopo la crisi, gli attuali lavori in corso per la creazione del TTIP e le diachiarazioni di Draghi sulla necessità di cedere il potere alle entità sovrannazionali e rinunciare alla sovranità dei singoli Stati… beh, vi siete fatti un’idea chiara di dov’è diretto il treno dei magnaccia della politica economica? Spero davvero di sì.
Matteo Vitiello
Il “Transatlantic Trade and Investment Partnership” (TTIP): la NATO economica
La Storia insegna che considerare un caso isolato ogni singolo evento che ha ripercussioni internazionali limita sempre la visione oggettiva della realtà: come sta accadendo in questi ultimi e tragici mesi, i vari conflitti che insanguinano il Medio Oriente, l’Ucraina ed il Nord dell’Africa, in particolar modo la Libia, fanno parte di un preciso disegno globale, adattato alle esigenze macro-economiche del Terzo millennio. Quale logica conseguenza di tutto ciò, si delineano sempre più i principali attori di questo complicato e spietato scenario: da un lato l’asse USA-UE, con i loro alleati, in poche parole la NATO, dall’altro la Russia ed i Paesi a lei vicini.
Come può l’America, che da sempre fa la parte del leone all’interno della coalizione NATO, riuscire a realizzare tutto ciò? Naturalmente creando destabilizzazione economica in Europa a seguito delle sanzioni varate a danno della Russia dopo i sanguinosi fatti dell’Ucraina, area economicamente strategica, come fa il Professor emerito di Sociologia alla Binghamton University di Binghamton e Professore aggiunto alla Saint Mary’s University di Halifax, in Canada James Petras in una accurata analisi pubblicata in un suo editoriale del 23 Agosto 2014.
Parallelamente a queste problematiche internazionali che stanno degenerando in vere e proprie guerre, è in corso un negoziato, in gran parte segreto, per definire un accordo commerciale tra UE ed USA, chiamato TTIP (il cui programma è consultabile al link http://ec.europa.eu/trade/policy/in-focus/ttip/about-ttip/index_it.htm), truce e secco acronimo di “Transatlantic Trade and Investment Partnership”, chiatato anche TAFTA, “Transatlantic Free Trade Area”, area transatlantica di libero scambio.
A prima vista sembrerebbe un accordo che porterà i paesi che vi parteciperanno ad una crescita, secondo quanto sostenuto dai proponenti. Ma se si prova ad analizzare nel dettaglio quanto finora pervenuto, cresce il sospetto che il rischio di incremento di potere economico delle multinazionali coinvolte ed il contestuale contrasto ai governi nel controllo dei mercati per promuovere il benessere collettivo appare sempre più concreto.
Per comprendere al meglio e nel modo più obiettivo possibile come dovrebbe essere strutturato questo accordo commerciale intercontinentale, bisogna analizzare nel dettaglio quanto pubblicato dai governi coinvolti in questo progetto: USA ed UE.
Come si evince da una pubblicazione istituzionale consultabile al link http://www.state.gov/p/eap/rls/rm/2014/01/219881.htm, gli Stati Uniti reputano il TTIP un accordo propedeutico al realizzarsi di un ulteriore accordo conosciuto come TRANS-PACIFIC PARTNERSHIP (TPP), un accordo internazionale su cui stanno discutendo 12 paesi, ovvero Usa, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Messico, Malesia, Cile, Singapore, Perù, Vietnam e Brunei; un insieme di Paesi che, complessivamente, “rappresentano il 40% del Pil mondiale”. A prima vista, anche questo accordo sembrerebbe una notevole opportunità economica, ma dietro tutto ciò si celano aspetti decisamente torbidi.
13 Novembre 2013: Wikileaks diffonde un capitolo dell’accordo TPP, in cui per la prima volta emergono le diverse posizioni dei governi coinvolti in questo accordo, come documenta Philip Di Salvo in un suo articolo del 14 Novembre 2013 per il portale Wired:
“Oggetto del progetto è la liberalizzazione degli scambi commerciali tra i paesi aderenti e le discussioni tra le parti stanno avendo luogo segretamente da diversi anni e uno dei massimi sponsor dell’accordo è l’attuale amministrazione Obama. L’accordo va a toccare numerosi ambiti di cooperazione tra i paesi coinvolti, uno dei quali è certamente la Rete e la regolamentazione in fatto di copyright. WikiLeaks ha pubblicato proprio una bozza del capitolo relativo al Web risalente all’agosto scorso. Il testo, 30mila parole per un centinaio di pagine, è disponibile sul sito di Julian Assange e la sua pubbicazione anticipa di qulache giorno il summit dei negoziatori dell’accordo che si terrà a Salt Lake City dal 19 al 24 novembre prossimi. Il documento oggetto del leak contiene molte proposte in fatto di diritto d’autore e brevetti e ha il chiaro obiettivo di rafforzare il controllo sul copyright e il suo utilizzo in quanto “promotore per lo sviluppo sociale ed economico soprattutto in relazione alla nuova economia digitale”, come si legge nel testo pubblicato da WikiLeaks.
La Electronic Frontier Foundation (Eff) ha analizzato il capitolo nel dettaglio e ha individuato i passaggi che esprimono al meglio gli obiettivi dell’accordo e il suo tono complessivo. In una parte del testo si legge ad esempio la proposta (da parte messicana) di prolugare la durata dei termini del copyright fino a 100 anni oltre la morte dell’autore. Altrove, si può leggere il tentativo di aumentare lo spettro di intervento del copyright, individuando nuovi ambiti di applicazione e la loro aumentata estensione. Da questo punto di vista, la Tpp guarda anche ai brevetti medici, per i quali l’estensione andrebbe a superare i 20 anni, come riporta il Guardian. Doctors Without Borders ha alzato la voce, denunciando la possibilità che l’accordo possa restringere l’accesso a medicinali fondamentali. Una forte attenzione è ovviamente posta sull’infrazione del copyright e all’ hacking, fatte salve, comunque, alcune distinzioni, rubricate nel testo come “attività autorizzate ai sensi di legge e svolte da impiegati governativi, agenti o contractor a scopi di indagine, intelligence, sicurezza essenziale e scopi governativi”. E il riferimento stride con i recenti fatti di cronaca relativi al Datagate e alla sorveglianza digitale.
Olivia Solon su Wired.co.uk ha fatto notare che il testo contiene anche la proposta (di cui si sapeva già dal 2011) di consentire a tutti i detentori di diritti di autorizzare o proibire tutte le riproduzioni del loro lavoro, fino alle “copie temporanee in formato elettronico”, una proposta che la Eff aveva già denunciato come “disconnessa dalla realtà dei computer moderni”: significa che, qualora la proposta del testo venisse approvata in sede definitiva, anche il download di una foto da Internet potrebbe costituire una violazione del copyright. Il testo sembra rispecchiare la tendenza a voler rafforzare la posizione dominante della grandi corporation nella protezione del diritto d’autore al fine di salvaguardare i loro interessi commerciali; non a caso, l’accordo è sostenuto da una lobby di potentissime multinazionali. Secondo molti osservatori critici, inoltre, l’accordo mira a “esportare” nella zona del Pacifico la molto restrittiva legislazione americana in fatto di diritto d’autore, a favore degli interessi statunitensi. Matthew Rimmer, dell’Australian National University, ha definito il documento pubblicato da WikiLeaks “una lista dei regali di natale per le corporation” che mette a repentaglio alcuni interessi leggittimi degli utenti della Rete, come il libero accesso o la possibilità di fruire di contenuti liberamente, perché entrati nel pubblico dominio.
Michael Geist dell’Università di Ottawa ha invece sottilineato quanto forte siano le pressioni americane,definite “draconiane”. Geist fa notare, inoltre, un punto interessante sul modo in cui i diversi paesi firmatari hanno avanzato proposte o criticato delle altre: “con l’eccezzione degli Usa, del Giappone e dell’Australia, tutti i paesi aderenti hanno proposto un articolo che specifica il bisogno di bilanciamento e promozione del dominio pubblico, della protezione della salute pubblica e di misure che assicurino che i diritti degli Ip non diventino barriere allo sviluppo”. Un altro punto preoccupante ha a che vedere con il Digital Rights Management ( DRM) e le regole “anti-circumvention” che, limitano, ad esempio iljailbreaking dei dispositivi elettronici. Il testo propone nuove limitazioni che andrebbero, come ha scritto già in passato la Eff, a limitare le possibilità di movimento per artisti, hacker e maker, ponendo un grande freno a possibili innovazioni future. Ma gli esempi potrebbero essere molti di più.
La Trans-Pacific Partnership e i dettagli portati all’attenzione del pubblico riportano in superficie i timori già sollevati nel 2012 di fronte alle diverse leggi proposte in tutto il mondo per regolamentare in modo troppo restrittivo e con un netto sbilanciamento verso il business, il diritto d’autore, fino a mettere a rischio la libertà stessa della Rete. Sopa e Pipa, contro le quali si tenne il primo sciopero di Internet, nel gennaio del 2012, sono tutto tranne che un lontano ricordo. La possibilità che la Tpp rappresenti una similie (se non peggiore) minaccia per la libertà della Rete è molto concreta. A peggiorare la situazione, la pressoché totale segretezza con cui l’accordo è stato fin qui discusso e, con ogni probabilità, sarà negoziato anche in futuro. Julian Assange ha commentato il testo dicendo che, qualora diventasse operativo, “calpesterebbe i diritti individuali e la libertà di espressione”. “Se leggi, scrivi, pubblichi, ascolti, pensi, balli, canti o inventi, se coltivi o consumi cibo, se sei o mai sarai malato”, continua Assange, “la Tpp ti ha nel suo reticolo”. Una petizione online contro la Tpp ha già raccolto oltre 100mila firme.
Marzo 2014: la Commissione Europea divulga una bozza della proposta di accordo TTIP (vedi pdf a inizio articolo) e lancia una serie di pubbliche consultazioni su alcune determinate clausole che implicherebbero importanti limitazioni ai governi dei paesi europei. Nella bozza si leggono infatti significative “limitazioni sulle leggi che i governi partecipanti potrebbero adottare per regolamentare diversi settori economici, in particolare banche, assicurazioni, telecomunicazioni e servizi postali. Qualsiasi entità economica privata, se espropriata dei suoi attuali investimenti, avrebbe diritto a compensazioni a valore di mercato, aumentate di interesse composto”. Sembre secondo quanto sancito in questa bozza, “sarà ammessa la libera circolazione dei lavoratori in tutte le nazioni firmatarie, ed è stato proposta l’ammissibilità, per le entità economiche private, di muovere azioni legali contro i governi in presenza di violazione dei diritti”.
È inoltre importante precisare che il TTIP, che probabilmente verrà definito entro la fine del 2015, fa seguito ad un’altra proposta di accordo economico internazionale, il Multilateral Agreement on Investment (MAI) ovvero un accordo economico internazionale in fase di discussione “confidenziale” dal 1995 presso l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico composta da ventinove nazioni quali USA, Canada, Messico, gli stati membri dell’UE, Svizzera, Norvegia, Islanda, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Turchia, Corea del Sud, Giappone, Nuova Zelanda ed Australia e più conosciuta con la sigla OCSE.
Lo scopo del MAI sarebbe la creazione di una carta dei diritti e delle libertà per le aziende multinazionali, al fine di rendere più facile per gli investitori individuali e aziendali lo spostamento di capitali all’estero in valuta e sotto forma di immobili industriali. Si andrebbero così a creare alcuni principi di applicazione uniformi, partendo dai milleottocentoaccordi bilaterali già esistenti.
Dalla lettura della bozza del MAI, emerge un aspetto quanto meno inquietante dell’accordo: qualsiasi Stato, compresi quelli non aderenti all’OCSE, viene incoraggiato a partecipare, così da suscitare interesse a diventarne membri anche ai paesi in via di sviluppo, ovvero quelle economie non ancora del tutto avviate ed per le multinazionali ritenute appetibili dal punto di vista speculativo. In sintesi, l’accordo prevede che i governi di queste nazioni dovranno accettare le condizioni dettate dalle società multinazionali che investiranno nei loro territori. Complice di tutto ciò sarebbe anche l’FMI, il Fondo Monetario Internazionale ovvero quell’organismo che dovrebbe essere responsabile degli aiuti alle nazioni in deficit e che “definisce gli standard valutari”, diventando fin dalla sua istituzione “un prezioso strumento nell’apertura di nuovi mercati per le multinazionali”.
Recentemente, l’FMI ha varato i ‘pacchetti per la ripresa economica’ a beneficio di Paesi in difficoltà quali la Tailandia, l’Indonesia e Corea del Sud , ovvero una serie di misure finalizzate alla liberalizzazione finanziaria, privando però i governi della loro sovranità in campo economico, come chiaramente sancito anche dalla bozza del MAI: i governi sono obbligati ad accettare investimenti esteri in tutti i settori, provocando così un sistematico “indebolimento degli standard ecologici e di sicurezza sul lavoro per attrarre nuovi investimenti e la rimozione delle misure di salvaguardia contro attacchi speculativi in borsa”. In poche parole, le multinazionali vengono ancor più incentivate ad approfittare dell’avanzata crisi di quelle economie asiatiche, acquisendo così”imprese a prezzi stracciati” e “conquistando nuovi mercati”.
È quindi evidente come il MAI miri ad istituire un raggruppamento di normative universali sugli investimenti che garantiranno alle multinazionali “il diritto e la libertà incondizionata di comprare, vendere e compiere operazioni finanziarie in tutto il mondo come e quando ritengono opportuno, incuranti di leggi ed interventi governativi”.
IL TTIP verrebbe quindi varato sulla base di quanto già proposto all’interno del MAI, arrivando ad influire sulla vita sociale, economica e culturare di tutti noi, come analizza egregiamente Enrico Lobina in un suo articolo datato 19 Agosto 2014 sul blog Megachip di Globalist, criticando giustamente anche la segretezza dell’Accordo:
Tra gli anni novanta ed i duemila un vasto movimento (i “no-global”) si opposero ai negoziati portati avanti dalla Omc (Organizzazione Mondiale del Mercato), che avevano come scopo di eliminare non solamente tariffe doganali, bensì la possibilità per piccoli Stati e lavoratori di difendersi dalla concorrenza selvaggia e dai voleri dellemultinazionali.
Grazie ad un vasto movimento di popolo (ricordate Genova 2001?), e ad una chiara azione dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), spalleggiati dai paesi non-allineati, i negoziati fallirono. Gli Usa e la Ue ripiegarono su trattati bilaterali. Ora è venuto il momento del trattato tra i due giganti del neoliberismo, che dovrebbe essere concluso entro il 2015.
C’è poco tempo, e tutto è segreto! Alla faccia degli open data e della trasparenza, non si può sapere su cosa si sta trattando. Qualcosa trapela, ma non sia mai che l’opinione pubblica possa sapere cosa gli succederà. Il nocciolo del trattato non è la diminuzione delle tariffe, già quasi nulle, bensì l’eliminazione delle “barriere normative” che limitano profitti potenzialmente realizzabili dalle società transnazionali.
Cosa significa “barriere normative”? Vediamo qualche esempio.
La società francese Veolia, che ha in gestione lo smaltimento dei rifiuti ad Alessandria, in Egitto, ha fatto causa allo stato egiziano perché ha aumentato i salari del settore pubblico e privato al tasso d’inflazione, e questo ha compresso i propri margini di profitto. Per “barriere normative” s’intende anche questo. Con le misure proposte dal Ttip per la protezione degli investitori qualsiasi peggioramento (per l’investitore) delle condizioni contrattuali può dar luogo a richieste di risarcimento. Il meccanismo, se entrasse in funzione, avrebbe una forza dirompente dal punto di vista delle aspettative e delle azioni governative. Chi più si azzarderebbe ad aumentare i salari?
Nel caso vi sia una diatriba tra lo stato ed una multinazionale, questa non sarà costretta a rivolgersi ai tribunali dello stato nazionale (sono di parte!), bensì ad un arbitrato internazionale, in cui uno degli arbitri è scelto dalla multinazionale, uno dallo stato ed il terzo congiuntamente. Peccato che questi arbitri siano una cinquantina in tutto!
Questo meccanismo è l’Isds (Investor-State Dispute Settlement), ed è fortemente voluto dagli Usa. Sta incontrando una crescente resistenza a Bruxelles, però non è chiaro se nei negoziati ancora se ne sta parlando e se lo si sta prevedendo. Ma anche senza Isds, per gli agricoltori ed i piccoli e medi imprenditori europei, insieme a tutti i lavoratori, il TTIP sarebbe un disastro.
Gli agricoltori, e tutti coloro che hanno a cuore la propria alimentazione, sappiano che TTIP significa “deregolamentazione della sicurezza alimentare”. Con l’eliminazione delle normative europee sulla sicurezza alimentare (le famose “barriere normative”) entreranno gli Ogm (Organismi Geneticamente Modificati) e, più in generale, verrà meno il “principio di precauzione” europeo.
Per quanto riguarda l’ambiente, il principio è lo stesso. Oltre ad indebolire le normative fondamentali sull’ambiente, che dovranno allinearsi a quelle Usa, vi sarà un’inversione dell’onere della prova nel settore chimico: “Non inquino fin quando tu, Stato, non lo dimostri”. Ora, in Europa, è il contrario: è l’industria che deve dimostrare che non si inquina.
Questo e molto altro è il TTIP. A fronte di una crescita nulla in seguito a questo trattato, sappiamo però che lavoreremo peggio, che mangeremo cibi meno sani e vivremo in un ambiente meno pulito. Tutto ciò per favorire qualche miliardario, che miliardario lo era anche prima. La lotta di classe al contrario, insomma.
Si riconferma ancora una volta la volontà istituzionale internazionale di voler favorire le solite corporations, premiandole anche con un’accertata impunità: è questa la più evidente conseguenza della globalizzazione. D’altronde perché stupirsi ancora, visto che sono proprio le multinazionali che controllano la politica di tutto il mondo e che decidono la vita di tutti noi, anche a costo di migliaia di vite umane?
Lorenzo Piersantelli