PERIF3RIA DEL MONDO è l’ultimo lavoro discografico della Periferia Del Mondo,band nata a Roma circa sedici anni fa, e quindi con una buna esperienza alle spalle e significative testimonianze sotto forma di album e progetti paralleli. Le mie domande avevano lo scopo di capire qualcosa di più di un gruppo che avevo avuto l’opportunità di vedere in fase live alla Prog Exhibition del 2010, ma di cui non conoscevo il lavoro in studio, e mi pare che l’intervista a seguire sia un importante documento oggettivo che da solo racconta la sostanza della band e la sua evoluzione. Undici brani che, unitamente all’art work, presentano un mondo musicale costruito sull’osservazione di ciò che ci circonda, e risulterà alla fine quasi banale la mia sottolineatura sul velato senso di tristezza che … si sente nell’aria, perché saper captare gli umori circostanti, unire le proprie esperienze e trascrivere il tutto in musica, in questi giorni così pieni di dubbi e di incertezze, è qualcosa che ha un alto peso specifico, nella forma e nella sostanza. La proposta è variegata, e le liriche - una in inglese - si mischiano ai “viaggi strumentali - tre - dando il senso del racconto di una vita, una qualsiasi, perché ogni anima, potenzialmente, possiede storie interessanti, da captare e raccontare. Mi riesce difficile individuare un genere preciso con cui catalogare la PDM, perché la loro musica è rappresentativa dell’eterogeneità musicale dei vari componenti; si passa dal progressive al rock un po’ più pesante, dal funky al jazz, dalla musica etnica a quella più intimistica, e la chiave di volta mi pare proprio il gioco di squadra, quel modo di pensare e di agire che è sulla bocca di tutti senza che venga mai applicato con i sacri crismi, e che in questo caso fa sì che i semi dei singoli membri siano messi a disposizione del progetto generale, senza chiedere ai talenti personali di restare un po’ nascosti, ma di emergere al momento giusto. Alla fine ne esce fuori un lavoro quasi concettuale - nel senso dell’unione di intenti -che viene percepito dall’ascoltatore come una struttura molto omogenea e di impatto, e con un po’ di attenzione e sensibilità certi risvolti, magari meno afferrabili in fase live, diventano piccole perle da gustare in situazioni di maggior relax.
“Anche quando si spengono le luci su di un giorno di quelli un po’ così, resta sempre una speranza, un raggio di sole. E’ come se fossimo fermi da sempre, insieme noi due aspettiamo la notte per poter vedere le luci all’orizzonte e poter amare il giorno quando nasce lento… quando nasce lento.”
Queste parole mi hanno toccato e mi hanno indotto ad iniziare “il mio viaggio”. E’ anche questo il compito della musica e di chi la crea e propone… innescare un effetto domino che potrebbe dare grandi, enormi soddisfazioni!
L’INTERVISTA
Dal vostro esordio, nel 1996, molte cose sono cambiate. Riuscite a sintetizzare la vostra evoluzione musicale, dagli inizi all’album “Perif3ria del Mondo”?
Alessandro Papotto. Ciò che penso ci distingua dalla maggior parte degli altri gruppi, dove normalmente è uno solo o al massimo due dei componenti a comporre musica e testi, è il fatto che ognuno di noi arriva alle prove con idee per nuovi brani o per completare quelli in corso d’opera; inoltre, cosa non proprio comune, siamo tutti arrivati alla Periferia Del Mondo attraverso percorsi e influenze musicali molto diversificate. Spesso i gruppi si formano ricercando componenti che abbiano omogeneità di stile ed influenze, invece nel nostro caso è stato più un incontro tra amici vecchi e nuovi, uniti dalla voglia di indagare in libertà all’interno di tutti i generi musicali. All’epoca l’unica cosa in comune tra noi cinque era il pensiero univoco sul significato del termine “Progressive Rock”: commistione di stili, ricerca di nuove sonorità, ed un pizzico di “spirito ribelle” sotto la pelle, quello spirito che ti permette di osare e garantire uno stile e un approccio diversi per ogni nuovo brano. Penso che questa linea comune sia particolarmente evidente nei nostri primi due dischi, dove peraltro le influenze del Progressive “storico” degli anni settanta, sono state sicuramente un terreno di incontro. Poi con il terzo disco le cose sono un po’ cambiate ma non di molto: abbiamo cercato di alleggerire le strutture dei brani e allo stesso tempo di operare una cura ancora maggiore sugli arrangiamenti. Credo che questi saranno i termini compositivi anche per il prossimo disco.
Ascoltando il vostro album e leggendo unitamente il booklet si nota una certa equità di composizione, una sorta di suddivisione del lavoro anche dal punto di vista delle idee base, fatto non comune. Atto di democrazia musicale o filosofia di lavoro ben precisa?
Giovanni Tommasi. Questo discorso completa ancora meglio la domanda precedente. Penso che ciò che distingue il terzo disco dai primi due, sia l’aver cercato, alla fine delle registrazioni, una sequenza ben precisa dei brani all’interno del disco, che trasmettesse una sorta di continuità. Non penso ci sia stata una ricerca di continuità compositiva tra i vari brani ma di sicuro dopo più di dieci anni passati a suonare insieme, i nostri stili si sono mescolati, e sicuramente tutto è diventato più omogeneo.
Osservando l’artwork di Davide Guidoni, leggendo e ascoltando al contempo, ho provato una sensazione di velata tristezza che prescinde dal messaggio scritto. Qual è l’umore che vi ha guidato in questo vostro lavoro?
Bruno Vegliante. Noi generalmente prendiamo l’ ispirazione da ciò che ci circonda, da un evento particolare, da una sensazione ricorrente. Il nostro tentativo è quello di collocare l’attualità nelle nostre composizioni, sia in modo esplicito all’interno delle liriche, sia a livello puramente espressivo per ciò che riguarda le parti musicali, attraverso la scelta dei suoni, l’intercedere delle diverse atmosfere, e con qualsiasi altro sistema si riveli efficace. Penso quindi che la nostra musica rispecchi in parte il nostro modo di percepire la società che circonda. Una velata tristezza? Penso proprio di sì. Però penso che ci sia dell’altro: cerchiamo sempre di inserire mondi e sensazioni diverse nelle nostre composizioni, con la speranza che l’ascoltatore possa riconoscere quelle in cui più si rispecchia. Inoltre abbiamo lasciato a Davide la totale libertà di esprimersi come voleva a livello grafico, limitandoci a scegliere tra le numerose opzioni che lui ci ha fornito.
Nel 2010 ero a Roma alla Prog Exhibition dove anche voi vi siete esibiti. Qual è il vostro ricordo di quei giorni?
Claudio Braico. E’ stata una festa bellissima dove abbiamo incontrato tanti amici vecchi e nuovi. Una festa con molta musica di qualità. I ricordi che affiorano sono le sensazioni provate all’ingresso sul palco. Aprire una serata così importante e con così tanto pubblico davanti ci ha dato una incredibile scarica di adrenalina, cosa che poi ha influito positivamente anche sul nostro concerto. Poi la gioia di esserci, di fare parte di una manifestazione internazionale con il meglio del rock progressivo, è stato meraviglioso.
Qual è nella sostanza il beneficio maggiore che avete trovato lavorando con Franz e Iaia?
Tony Zito: La fiducia che ci hanno dimostrato, facendoci aprire la seconda serata di quel festival ci ha dato l’opportunità di farci conoscere ancora di più dal pubblico. Poi le pubblicazioni discografiche che hanno fatto girare ancora di più il nostro nome. Insomma l’amicizia con Franz e Iaia, la fiducia reciproca, e il lavoro svolto in maniera professionale, ci ha portato e sta continuando a portare dei grossi benefici in termini di visibilità.
Tra i tanti brani ce n’è uno cantato in inglese, “Synaesthesia”. In che modo è funzionale all’intero album?
Giovanni Tommasi. Ci piace molto scrivere canzoni in inglese sia per utilizzare una metrica che a volte risulta più efficace a livello musicale, sia per la possibilità di “arrivare” ad un pubblico più vasto, cosa impensabile utilizzando la sola lingua italiana. Diciamo che per ogni nuovo brano scegliamo ad istinto la lingua che pensiamo si adatti meglio al caso specifico. Casualmente nel nostro terzo disco c’è un solo brano in inglese, ma è possibile che nel quarto si verifichi l’esatto contrario.
Creare un nuovo lavoro, album libro o altro affine presuppone, anche, il rivivere parte di passato. Esiste un rammarico per qualche passo non compiuto per eccesso di cautela?
Alessandro Papotto. Rispondo con un pensiero che ci accomuna tutti e cinque: sia per quanto riguarda le scelte musicali, artistiche ed economiche del gruppo, sia per quanto riguarda la vita e i fatti personali di ciascuno di noi, che peraltro si ripercuotono inevitabilmente nelle cose che scriviamo: penso che possiamo aver commesso molti errori come tutti quanti, ma non esiste la sensazione del rammarico perché ogni nostra scelta è stata portata avanti con dignità e convinzione. Secondo me quando vivi in questo modo se ti accorgi che alcune scelte non sono state proprio felici non te la prendi nemmeno, perché l’errore è una crescita e fa parte della vita.
Che cosa rappresenta per voi la performance live?
Tony Zito. E’ il momento in cui ti interfacci direttamente con il pubblico e quindi puoi verificare le loro reazioni. E’ però anche una situazione diversa da quella in studio e quindi spesso c’è la necessità di suonare i brani in modo diverso. Dal vivo cerchiamo di dare la precedenza ai brani che hanno avuto un migliore riscontro oppure a quelli che hanno una atmosfera energica, intercalandoli con brani più rilassanti per far scendere la tensione. Insomma si cerca di studiare una sequenza di brani che possa funzionare, dando anche al pubblico ciò che si aspetta da noi e, allo stesso tempo, suonando i brani più recenti, in modo di verificarne il risultato “sul campo” ed evitare di suonare per anni la stessa scaletta. Mi piace pensare che dal vivo siamo un gruppo Rock, nel senso più semplice del termine. Una band che propone degli spettacoli rock con la grinta e la passione di chi ama la musica.
Che tipo di rapporto avete con le nuove tecnologie, applicate al vostro lavoro?
Bruno Vegliante. Ci piace suonare “con ogni mezzo necessario”. L’importante è che per noi abbia un senso e che il risultato sia per noi adeguato e soddisfacente. In genere questo lo realizziamo con l’uso di tanti strumenti diversi, tanti timbri e sonorità differenti, ma tutto sommato, rimaniamo nell’ambito di tecnologie non particolarmente inusuali. L’uso del computer è assolutamente positivo per noi, soprattutto se ci rende più comodo il lavoro. Insomma posso dire che lo usiamo per suonare meglio ma sicuramente non per suonare meno.
Apriamo il libro dei desideri: cosa vorreste vi capitasse, musicalmente parlando, nei prossimi tre anni?
Claudio Braico. Quella che segue potrà sembrare la “Preghiera del buon vecchio rockettaro”: che la nostra musica “arrivi” alla portata di un pubblico sempre più vasto, che la stanchezza che comincia a farsi sentire (per l’età che purtroppo avanza) non ci faccia cedere in ambito compositivo, ma soprattutto che riesca a sopravvivere la passione con cui usualmente portiamo avanti il nostro lavoro.
http://www.periferiadelmondo.it/ http://www.myspace.com/periferiadelmondo
Un po’ di storia della band: http://it.wikipedia.org/wiki/Periferia_del_Mondo
Line up
Claudio Braico - bass Alessandro Papotto - vocals and woodwinds Giovanni Tommasi - guitars Bruno Vegliante - keyboards Tony Zito - drums
Tracklist:
1) Periferia Del Mondo
2) Oceani
3) Suite Mediterranea
4) Chiaroscuro
5) Come un gabbiano
6) Alghe
7) Synaesthesia
8) Angeli Infranti
9) Cartolina per il Giappone
10) Piove sul mare
Bonus Track (Previously Unreleased):
Funkats
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