La sera del 14 giugno 1935, André Breton camminava, insieme alla moglie, Jacqueline, e ad alcuni amici, lungo il boulevard Montparnasse, diretto alla Closerie des Lilas. Era in uno stato di grande eccitazione, anche se, come sempre, lo nascondeva. Stava pensando all'imminente Primo Congresso Internazionale degli Scrittori per la Difesa della Cultura: sarebbero arrivati scrittori da 14 paesi, e lui aveva il suo discorso pronto. Quando parlava ad una folla, sapeva che poteva "far volare scintille e appiccare incendi".
Vestito, come sempre, con un abito nero, la camicia verde scuro ed una un po' eccentrica cravatta rossa, la sua preferita. Camminava, l'andatura controllata, quasi scivolava. Camminava, gli occhi attenti, lo sguardo beffardo. Erano un gruppo di amici, e si stavano recando al loro Café preferito per il rituale aperitivo; un appuntamento quotidiano che era una cerimonia di fedeltà per il movimento artistico che aveva fondato. Si affrontavano le questioni e venivano introdotti nuovi surrealisti.
Arrivati alla caffetteria, qualcuno si accorse che Ilya Ehrenburg ne stava uscendo. Breton sbiancò. Eppure una vita di abitudine al distacco e alla moderazione gli avevano insegnato che, ad intimidire, servivano assai più il sarcasmo e l'umorismo. La rabbia andava gestita con parsimonia. Ma quando sentì fare il nome di Ehrenburg, non poté fare alto che correre verso quell'uomo.
Quell'uomo che l'anno prima aveva pubblicato un libro in cui accusava gli scrittori francesi di essersi venduti agli interessi capitalisti, riservando proprio ai surrealisti le invettive più feroci, deridendoli in quanto "occupati a studiare la pederastia ed i sogni" mentre "spendono le eredità e le doti delle loro mogli". "Essi preferiscono l'onanismo, la pederastia, il feticismo, l'esibizionismo, e perfino la sodomia" - aveva scritto. Aggiungendo che "l'Unione Sovietica li disgusta perché la gente lavora in quel paese".
Breton si rivolse a Ehrenburg:
"Sono venuto a regolare i conti con lei, signore" - mormorò.
"E chi è lei, signore?" - rispose Ehrenburg.
"Sono André Breton."
"Chi?"
Breton ripeté il suo nome più volte, ed ogni volta che lo ripeteva vi aggiungeva uno degli epiteti che aveva usato Ehrenburg. E ciascuna presentazione era seguita da un sonoro ceffone. Ehrenburg non provò nemmeno a difendersi. Se ne stava lì, cercando di proteggersi il viso con le mani. "Si pentirà di questo" - fu l'unica cosa che riuscì a borbottare.
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