Se c’è una cosa che posso dire di aver fatto in questi trent’anni è sicuramente che ho studiato tanto! Ma non ho solo studiato a scuola prima e all’università poi, ho studiato anche dai romanzi, dai film, dalle persone, dalla vita. In questi decenni di osservazione mi ha affascinato notare che i fenomeni descritti nelle pagine dei manuali, specialmente quelli di fisica, apparentemente avulsi dalla piccola quotidianità sentimentale, sono in realtà molto più affini a questa rispetto che all’interazione gravitazionale. Se sapeste quanto l’ingegneria si applica alla normalità restereste stupiti. Ad esempio negli ultimi mesi posso dire di aver incarnato alla perfezione il primo pricipio della Dinamica, detto anche principio d’inerzia.
Il primo principio, originariamente formulato da Galileo e successivamente esplicitato da Newton, dice grossomodo che «un corpo in assenza di forze esterne persiste nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme». Banalmente significa che se ho un corpo in movimento e non gli applico alcuna forza esterna, esso continuerà a muoversi in quel modo all’infinito; stessa cosa succede ad un corpo fermo: fermo è e fermo resta. Nel momento in cui introduco una forzante tutto il sistema si stravolge, accellera oppure si ferma. Il fatto interessante è che anche se non c’è nessuna forza non è detto che non ci sia moto: se il corpo è già in movimento, lui andrà avanti felice e pacato, se gli caccio una forza cambia solo di velocità.
L’inerzia, generalmente considerata comunemente nell’accezione negativa di condizione di inattività o di molle immobilità, in meccanica si riveste di una considerazione nuova e quasi nobilitata: rappresenta infatti la tendenza di un corpo ad opporsi alle variazioni di moto, a contrastare qualcosa di esterno che lo disturba. Riportando l’inerzia alla vita vera, la si può vedere come quella coriacea capacità che ha l’essere umano di andare avanti, di opporsi alle avversità e di perseverare nel suo moto rettilineo attraverso i rovi giornalieri. Mi sento anzi di dover ringraziare profondamente l’inerzia, che si innesca come una bomba, la cui esplosione mi permette di tuffarmi nelle cose che devo fare, anche quando non ne ho la forza, fisica o morale: una volta che ci sono dentro la salvifica inerzia mi spinge a concluderle, con grande gratificazione interiore. Senza l’inerzia non faremmo la maggior parte di quello che la vita, il costume, il buon senso, il cuore, ci obbligano a fare, neanche quelle giuste, perché spesso la pigrizia mentale è troppo forte da contrastare.
Io ci immagino come tanti punti che viaggiano nello spazio, tronfi di inerzia, ognuno con il proprio moto rettilineo uniforme o con il proprio stato di quiete, a tratti ci influenziamo, a tratti rallentiamo o acceleriamo il cammino degli altri, perché, ormai è ovvio, la variazione dello stato di moto di un punto è determinata dall’interazione del punto stesso con l’ambiente circostante.
C’è solo da sperare che l’interazione sia felice oppure preghiamo che l’inerzia sia più forte di tutto.