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Persone che resistono

Creato il 02 gennaio 2013 da Cren
Persone che resistono
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Persone che resistono


Le classi dirigenti non sono state in grado di gestire in modo equo ed efficiente la ricchezza generata dall’apertura dei mercati, dallo sviluppo dei commerci e dei movimenti di questi ultimi anni (la globalizzazione). L’iniziale diffusione di maggiore ricchezza si è fermata, i benefici derivanti da un mondo avvicinatosi si stanno, sempre più concentrando, in minoranze sempre più ricche. La finanza (le borse del denaro e della materie prime) comanda sull’economia reale. Gli esclusi (precari, migranti, disoccupati, pensionati, nuovi poveri) aumentano con il fallimento dei sistemi parlamentari, nati per rendere meno ingiusta la distribuzione dei redditi nazionali. Insomma, diminuiscono le opportunità per tanti e in quasi tutti i paesi. Amici sparsi per il mondo mi hanno mandato queste storie, di gente normale che, comunque, resiste.

Sangeeta Lama, 28 anni, domestica Kathmandu Nepal. Sangeeta vive con una sorella e suo figlio in un piccolo appartamento alla periferia di Kathmandu, due stanze e bagno in comune con gli altri inquilini. La sorella è stata abbandonata dal marito, andato a lavorare negli Emirati. Hanno lasciato (cinque anni orsono) il villaggio nel distretto di Sindhupalanchowk dove non riuscivano più a sopravvivere con la poca terra che avevano. A badare al vampo sono rimasti, come in tanti paesi nelle colline, solo i vecchi genitori, a cui, quando possono, spediscono un po’ di soldi. A Kathmandu è riuscita, con fatica, a trovare un lavoro in una casa di commercianti benestanti e, oggi, riesce a guadagnare euro 60 al mese. Tutte le mattine si prende un minibus e sale fino a Budhanilkanta, distante 40 minuti, lavora tutto il giorno e, spesso anche il sabato (in Nepal festivo) per aumentare di qualche centinaio di rupie la paga base.
“Non riesco a risparmiare niente, forse era meglio stare al villaggio. Negli ultimi anni tutto è aumentato, il cherosene per cucinare, riso e verdura che sono il nostro pasto quotidiano. Per fortuna il mio padrone mi lascia qualcosa da mangiare, riso, latte, a volte un po’ di pollo se non sarebbe veramente difficile. Non sono sposata, per fortuna e non ho figli, ma vedo la vita difficile di mia sorella e la sua fatica per mandare il bambino nella scuola pubblica, che comunque costa almeno euro 20 al mese. Chiaramente non ho contratto e il mio padrone può mandarmi via quando vuole, e non è difficile trovare qualcuno che chiede meno. Per fortuna, sorride, in Nepal c’è poca acqua e corrente elettrica e così pochi hanno le lavatrici e posso arrotondare lavando i panni dei vicini di casa del mio padrone.
Il mio sogno è trovar lavoro in una casa di occidentali dove sarei pagata almeno euro 100-120 al mese potrei restituire i soldi che alcuni miei amici mi hanno prestato quando ero malata e non potevo andare a lavorare e quelli che, sempre, mi anticipa il mio padrone.
Sangeeta spende circa euro 20 al mese per il cibo, euro 25 per l’affitto di casa ( la sua quota anche la sorella), euro 20 per raggiungere il posto di lavoro, spedisce, quando può, qualche centinaio di rupie ai suoi genitori;

Nazmul Chaudary, (45 anni, , insegnante nella scuola primaria, Dhaka Bangladesh.
“I miei soldi iniziano a finire verso metà mese e devo chiedere costanti prestiti ai miei amici e alla mia famiglia che non so quando riuscirò a restituire. Sono preoccupato per i miei figli a cui vorrei assicurare una speranza con la scuola ma, a volte, penso che sia già difficile procurargli le cose essenziali. Dovrò cercarmi un altro lavoro ma non è facile, malgrado, il boom economico che sta vivendo Dhaka, alla mia età. Adesso cerco di fare lezioni private, un po’ di conti per i miei amici negozianti per racimolare qualche taka in più.
Dhaka è diventata una metropoli, con quartieri moderni e con molte più attività di quando ero piccolo. Allora il lavoro più diffuso era guidare i risciò, ne giravano migliaia. Fare l’insegnate era un privilegio, il salario era discreto e garantito. Ma negli ultimi dieci anni non lo è più, il salario è fermo e i prezzi dei generi alimentari sono raddoppiati.
La mia speranza è trovare un altro lavoro, magari in un ufficio delle nuove company che sono nate come funghi, ma è difficile, sono anziano e abituato ad insegnare.
Nazmul guadagna euro 100 al mese, ha una moglie che lavora saltuariamente nel negozietto di famiglia e due figli che vanno nella scuola secondaria. Per mangiare spende euro 50 al mese (riso, vegetali, qualche volta pesce e pollo), per l’affitto spende solo euro 20 in un appartamento di due stanze, fuori Dhaka di un suo familiare. Per raggiungere la scuola spende euro 10 al mese, il resto per mandare a scuola i suoi due figli.

Claire Namomba, 32 anni, casalinga, Arusha Tanzania, quattro figli.
Sono fortunata a vivere ad Arusha, molto meglio che nella gigantesca Dar, qui c’è qualche opportunità in più grazie al turismo e non fa così caldo, racconta sorridendo. La sua casa è fatta di mattoni sconnessi, un tetto di lamiera e tre piccole stanze; in mezzo a tante altre simili, lungo la strada che esce dalla città per infilarsi nella savana e proseguire fino ai Parchi. Lei ha una vecchissima macchina da cucire con cui confeziona gli abiti per la sua famiglia e rammenda quelli dei vicini, così guadagna circa euro 20 al mese che si sommano con quelli del marito.
Il marito ha messo su una specie di forno e produce pane che vende ai negozi vicini e in qualche famiglia. Finita la scuola i bambini allungano un panno lungo la strada e vendono le pagnotte cotte dal padre. Una pagnotta è venduta a euro 0,60 e la famiglia riesce a incassare mensilmente almeno euro 80.
Il sogno è di allargare l’attività (in cui hanno investito circa euro 200) e fornire i grandi magazzini dove vanno turisti ed espatriati, ma non è facile, la concorrenza è forte e bisogna conoscere i direttori, spiega il marito, muovendo le dita nel gesto internazionale per intendere mazzette.
Claire spiega che cercano di mettere via qualche soldo per questo scopo ma non è facile, per mangiare spendo euro 50, euro 30 vanno per comprare farina e per l’attività, 30 per la scuola dei bambini (due sono ancora piccoli e li tiene a casa), andiamo a piedi e non spendiamo per i trasporti, per la casa (la terra era di mio padre) spendiamo solo euro 5 al mese. Vediamo tanta gente che passa di qui e sta peggio di noi, dice Claire, nei giorni scorsi sono stati arrestati una decina di persone che sono arrivate a piedi dall’ Etiopia e dalla Somalia, volevano andare in Sud Africa ma li hanno arrestati.

Bhahadur Tamang, 42 anni, contadino Meche-Nepal , cinque figli. Quest’anno il monsone non ci ha aiutato è stato debole quando serviva e troppo forte a Giugno e il raccolto di mais è stato scarso.
Il raccolto ci permetterà di vivere per sete-ott mesi e dobbiamo integrare il reddito andando tutti quanti a Bakthapur a lavorare a giornata, adesso che i campi riposano, nelle fabbriche di mattoni. I bambini non andranno a scuola per qualche mese, quest’anno. Ci racconta bevendo una tazza di tè Bahadur.
La moglie sta in cucina, separata nella veccia casa contadina, a girare la polenta (Il dido). Nel cortile qualche gallina e un bufalo che assicura il latte per i ragazzini. Abbiamo finito il contante, abbiamo chiesto un prestito al brahmino (qui non ci sono banche) impegnando il prossimo raccolto per comprare cherosene, riso, chilli, sale e sopravvivere per qualche mese. Il riso, non possiamo mangiare solo polenta, è più che raddoppiato negli ultimi tre anni.
Speravamo che i maoisti aiutassero noi contadini come dicevano durante il conflitto, ma, anche loro, si sono fermati a Kathmandu, non guadano ai problemi dei villaggi.
I raccolti mi rendono circa euro 1.200-1500 all’anno, parte del mais raccolto l’usiamo per mangiare, le verdure le coltiviamo ai margini del campo, con gli scarti del mais diamo da mangiare alle bestie e ci riscaldiamo. I bambini, finita la scuola, vanno a raccogliere nella foresta comune erba per il foraggio e legna.
Malgrado siamo in parte autosufficienti dobbiamo integrare i raccolti dei campi e spendiamo circa euro 35 al mese di cibo, cherosene, e qualche verdura. Semi, fertilizzanti, mulino, veterinario portano via altri euro 400 all’anno, la scuola per i bambini costa euro 30 al mese e, così, non ce la facciamo ad arrivare al nuovo raccolto.

olivier tambwe, 40 anni, muratore, Beira Mozambico, 1 figlio.
E sì ci sarebbe da costruire e rimettere a posto qui a Beira, guarda quante case belle, costruite dai portoghesi, ma lasciate andare. Forse, ora, grazie al gas naturale il paese si svilupperà e arriverà anche per me nuovo lavoro. Per adesso, racconta, ho un piccolo campo e la mia famiglia raccoglie vegetali e alleviamo un maiale e qualche gallina; ogni tanto vado a pescare. Il mio problema è che non ho capitale da investire per mettere su una mia impresa di costruzioni, comprare un camion, degli attrezzi, anticipare il materiale. Non ho un reddito regolare perché lavoro saltuariamente quando mi chiama il padrone o qualcuno che mi conosce e apprezza il mio lavoro.
Abbiamo provato con il business, mia moglie ha comprato dei capi d’abbigliamento in Sud- Africa, ha cercato di venderli al mercato ma c’era troppa concorrenza e, a stento, ci siamo ripresi il capitale investito. Mio figlio va alla scuola secondaria che è molto costosa (euro 600 all’anno), ma è la mia speranza per un futuro con un po’ più di benessere.. Quando va bene, mi fanno costruire una casa o riparare qualche tetto, posso guadagnare anche euro 300 al mese, ma poi, quando piove, magari resto senza lavoro per tre o quattro mesi. Quest’anno è andata bene, ho guadagnato euro 1.800 con i quali ho restituito qualche prestito che avevo chiesto per comprare la terra e per vivere, nei mesi in cui c’era lavoro. Spendiamo tanto, perché qui in città tutto è sempre più caro. Per mangiare euro 80 al mese, per i trasporti circa euro 15, non pago affitto perché la casa l’ho costruita io in tanti anni di lavoro ma per gas e luce spendo circa euro 8 al mese. I genitori di mia moglie e i miei vivono in un villaggio vicino a Vilankulos, sono anziani e gli mandiamo qualche soldo ogni mese.

Matteo Iscardi, 29 anni, disoccupato, Settimo Milanese, Italia. Se non ci fosse la mia famiglia sarei veramente nei guai. Dopo la laurea sono finito in decine di lavoretti a termine che mi hanno reso mediamente euro 700 al mese; durano al massimo tre mesi, bisogna spendere per i trasporti e per mangiare fuori casa e resta veramente poco. Poi, magari, rimani altri mesi senza lavorare e ti bruci quanto hai risparmiato.
I miei sono una famiglia normale, impiegati e portano a casa circa euro 3.000 al mese. Mi hanno fatto studiare, si sono comperati la casa (su cui ancora c’è un mutuo) e sopravvivono, non mi sembra che la loro vita sia felice, troppe preoccupazioni e, in più, mi devono parzialmente mantenermi.
Io so le lingue, usare bene un computer, una laurea in scienze internazionali e diplomatiche (mi piacerebbe viaggiare), ma tutto questo è meglio nasconderlo quando si cerca lavoro. Ho girato agenzie, risposto ad annunci ma, se va bene, mi capita un lavoro in un call centers. Poi ci sono richieste assurde, come “camerieri o operatori di sala con decennale esperienza ma giovani e disponibili”, giovane lo sono ma per avere 10 anni d’esperienza avrei dovuto fare lavoro minorile.
Non so, spero nella fortuna e mi muovo in cerca d’occasioni. Mi dispiace per la mia famiglia, vorrei essere autonomo e costruirmi la mia. La casa che si sono comprati con grande fatica, e non è neanche un gran che, gli costa (amministrazione, IMU, bollette) euro 450 al mese; per mangiare ne spendono 1000; per i trasporti (lavorano in centro) altri euro 100; per mantenersi una macchina e una moto altri euro 150; il mutuo altri 500. Il resto se ne và in dentista, ticket sanitari, qualche vestito da rinnovare e anche per farmi uscire qualche sera. Mio padre mi racconta che quando era giovane si viveva con meno, si giocava in strada, non servivono computer e tablet; i suoi genitori guadagnavano molto meno di lui ma la vita era più bella.

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