L’Amazzonia non è solo Brasile. Ne avevamo già parlato agli inizi di questo blog, con un pezzo che narrava dei disastri causati dallo sfruttamento minerario nel bacino amazzonico peruviano. La febbre dell’oro, ma anche degli altri metalli di cui è ricco il sottosuolo della regione, a distanza di tre anni, non si placa e le regioni di Loreto, Madre de Dios, Amazonas sono prese d’assalto non solo dagli avventurieri ma anche dalle grandi imprese che si sono viste moltiplicare le concessioni dallo Stato. Adda Chuecas, che lavora con il Centro Amazónico de Antropología y Aplicación Práctica, in un recente incontro alla Casa de las Américas di Madrid, ha denunciato che ormai l’80% dell’Amazzonia peruviana è stata data in concessione. C’è sempre meno spazio per le comunità autoctone e meno protezione per l’ambiente, nella corsa all’accaparramento delle risorse.
Le sue parole trovano conferma nelle immagini diffuse da Radio Programas del Perù, di un videoreportage del giornalista Guido Lombardi che dimostra i danni causati soprattutto dalla corsa all’oro che prosegue indiscriminata e senza regole, riducendo a poltiglia e fango intere porzioni della foresta: http://www.youtube.com/watch?v=c5cIvHeNXmk
¨C’è un deserto nel mezzo dell’Amazzonia¨ commenta grave Lombardi. I segni del disastro sono inequivocabili: la grande macchia verde è tagliata in due dalla distruzione provocata dai minatori che, illegalmente, stanno invadendo la regione, spinti prima da una situazione sociale esplosiva e quindi dalla pressione dei gruppi criminali che controllano i traffici ed hanno tutto l’interesse di ampliarli e di sfruttare una forza lavoro praticamente gratuita ed esposta ad ogni vessazione. Secondo una stima ufficiale sono settantamila i cercatori che riducono di giorno in giorno la frontiera del polmone verde amazzonico, causando danni spesso irreversibili non solo per la natura, ma anche per l’uomo. Non si può stabilire, infatti, quanto mercurio sia stato sinora liberato nei fiumi e nei boschi della regione. Le ricerche condotte da organizzazioni private hanno dimostrato che, negli ultimi cinque anni, sono stati cancellati migliaia di ettari di foresta. L’invasione non sembra volersi fermare. L’esercito dei disperati continua ad approdare in questo lembo di terra, dove si considera l’Amazzonia l’ultima frontiera da affrontare e devastare. Un dato su tutti. La regione di Madre de Dios, un quarto della superficie dell’Italia, con una popolazione che non raggiunge i 150.000 abitanti, consuma più energia della capitale peruviana Lima, che conta quasi otto milioni di abitanti ed è il centro vitale del Paese. Corrente che va ad alimentare le migliaia di accampamenti ed i loro macchinari che sventrano boschi, terre millenarie, paludi, fiumi.
Il prezzo dell’oro, in costante aumento, ha incrementato la domanda e di conseguenza l’illegalità. Lo Stato peruviano, che ha avviato una tardiva indagine, si è trovato con una situazione esplosiva. Il risultato dell’investigazione è presto detto: quella dell’estrazione dell’oro è la causa principale della distruzione dei boschi amazzonici, ancor più dell’allevamento del bestiame e dell’agricoltura messi insieme. Serve una legge, serve la presenza dello Stato ma, come nel passato, le autorità peruviane non riescono ad assicurare il controllo su un territorio così vario e così vasto. Eppure, Lima ospiterà il prossimo anno il summit sui cambiamenti climatici, appuntamento che dovrà stabilire le misure per frenare il riscaldamento globale. La deforestazione incondizionata sarà lì, davanti agli occhi di tutti, a fare da muto biglietto da visita per le delegazioni di tutto il mondo, a testimoniare ancora una volta dell’autolesionismo della natura umana.