“L’Umbria si doterà di un Piano regionale contro le povertà attraverso il quale intendiamo rispondere con azioni mirate alle diverse forme di povertà, vecchie e nuove, ed al crescente disagio di famiglie e cittadini”: lo ha annunciato la vice presidente della Regione Umbria ed assessore al Welfare, Carla Casciari, concludendo il seminario relativo al modello sociale e all’occupazione in Umbria, promosso dall’Agenzia Umbria Ricerche, nell’ambito delle iniziative di presentazione del Rapporto economico sociale 2012/2013.
“Il Piano, il cui lavoro di stesura verrà avviato a breve e che sarà frutto del contributo e della partecipazione di tutti i soggetti interessati – ha detto Casciari, ci permetterà di mettere a valore nel miglior modo possibile l’insieme delle risorse per il settore derivanti da diverse fonti finanziarie. I tagli del governo nazionale hanno inciso pesantemente sulla possibilità delle Regioni di poter rispondere adeguatamente ai crescenti bisogni sociali causati dalla crisi. Ricalibrare le risorse, dirottandole su azioni strutturali e articolate più rispondenti alle mutate condizioni economico sociali, di contesto e regionali, rappresenta quindi un passo imprescindibile sulla strada del mantenimento dei buoni standard conseguiti in Umbria, come testimonia anche questo Rapporto. Certo – ha proseguito, i cambiamenti in atto impongono una visione a lunga prospettiva ed una capacità di anticipare future tendenze e nuove forme di vulnerabilità sociale. Ed è per questo che, pur confermando la bontà del modello umbro di welfare, siamo impegnati ad individuare forme di aiuto e sostegno diversificati che siano maggiormente efficaci e a realizzare servizi più flessibili, rivolti in particolare a chi soffre di nuove povertà, tra cui le famiglie giovani con minori. Non un welfare ‘monetario’ – ha sottolineato Casciari, ma costruito su bisogni che sono in evoluzione a causa del peggiorare del contesto. Ciò – ha concluso l’assesore – in accordo con le indicazioni provenienti dal mondo del volontariato e del terzo settore e con la nuova programmazione europea per le politiche di inclusione sociale e lotta alla povertà”.
Ad aprire il seminario, presieduto dal Direttore di AUR Anna Ascani, l’intervento di Paolo Montesperelli (Università “La Sapienza”, Roma) e Mario Acciarri (Sociologo) per i quali in una Italia a “macchia di leopardo”, frastagliata e diversificata soprattutto nei suoi tratti economici, l’Umbria assume una posizione “anomala”.
La regione si trova in una fase di transizione, nella temporanea sospensione di una propria collocazione, caratterizzata da un “divario interno” che la pone più vicina al Sud nell’economia, ma più prossima al Centro-Nord quanto ad integrazione e benessere sociale. E’ tenendo conto di queste mutate condizioni che i due studiosi si chiedono a quale regioni l’Umbria sia oggi vicina e se si possa ancora parlare di un “modello Umbria”, cioè di una realtà dove economia e sociale sono così uniti da spiegarsi reciprocamente. La crisi ha infatti accentuato la fragilità economica, la frammentazione del tessuto produttivo regionale, l’emergenza lavoro, le difficoltà di “muoversi verso Rete e Ricerca”. Eppure – sostengono - quello che connota gli stili di vita, i servizi, la capacità d’integrazione dei soggetti deboli, proiettano l’Umbria nelle aree più avvantaggiate del Paese. Ciò impone – per entrambi – due diverse valutazioni o l’Umbria vive al di sopra delle possibilità e sta per subire un pesante ridimensionamento, oppure il sociale continua a compensare la crescente fragilità economica. Tuttavia – concludono Montesperelli e Acciarri – in entrambi i casi è richiesta alle istituzioni e alla società civile un grande sforzo d’innovazione per fronteggiare gli eventi.
Dopo il 2001 le aree storicamente urbanizzate dell’Umbria (Perugia, Terni Orvieto, Città di Castello, Foligno, Spoleto, Assisi) hanno iniziato una fase di rallentamento che le ha accompagnate nella prima vera crisi economica globale, mentre nel periodo precedente crescevano ad un ritmo non raggiungibile dalle altra aree della regione. E’ il quadro territoriale del valore aggiunto dell’Umbria offerto dall’analisi di Paolo Polinori (Università degli Studi di Perugia) che ripropone l’idea di una regione che va incontro ad un forte processo di articolazione territoriale. Sul fronte della disuguaglianza, la riduzione della diseguaglianza globale all’interno della regione rappresenta – per Polinori – l’esito di comportamenti differenziati, riconducibili a processi di polarizzazione territoriale che hanno caratterizzato le dinamiche sub-regionali italiane.
Lorenzo Birindelli, dell’Istituto ricerche economiche e sociali, ha analizzato la situazione di debolezza di chi un lavoro ce l’ha, o almeno, lo ha avuto e ne sta cercando un altro. Nell’insieme, ha detto, l’incidenza dei lavoratori in difficoltà sulla platea complessiva dei lavoratori (occupati e disoccupati ex-occupati) si è accresciuta in Umbria in modo considerevole con la recessione. Nei livelli pre-crisi, l’incidenza di situazioni di difficoltà oscillava tra il 16 ed il 18% per i dipendenti, mentre supera il 23% nel 2011. Per gli autonomi, i livelli erano sul 6-8%, e nel 2011 vanno oltre il 10 per cento. Per i collaboratori, i livelli di partenza erano già molto elevati (50-60%), e viene superato il 70% di incidenza dei lavoratori in difficoltà nel 2010, valore che scende, restando tuttavia sopra ai due terzi, nel 2011. Il problema della difficoltà nel mercato del lavoro, ha rilevato, si sostanzia prevalentemente nell’area del lavoro manuale e del terziario non impiegatizio, con larga prevalenza del lavoro dipendente. Si aggrava nettamente l’incidenza della difficoltà per le occupazioni a bassa qualifica e per quelle con un discreto livello di qualificazione legate ai consumi delle famiglie.
Birindelli, inoltre, ha “pesato” la consistenza del pubblico impiego in Umbria. Gli occupati, secondo i dati del Conto annuale del Tesoro elaborato dalla Ragioneria generale dello Stato, risultano nel 2011 circa 49mila. Nel 2001 erano intorno ai 53mila, con una riduzione in percentuale che è stata quindi, in dieci anni, del 7,5 per cento. Dal punto di vista dell’incidenza in rapporto alla popolazione e all’occupazione dipendente, nel 2011 come anche nel 2001, il dato umbro è in linea con la media nazionale: è del 5,4% e coincide con il dato nazionale il rapporto dipendenti/popolazione; il rapporto con il totale degli occupati dipendenti è del 17,2% (la media nazionale è del 17,1 per cento). Nel 2011, il primo comparto nel pubblico impiego, con oltre il 31% del personale totale, è rappresentato in Umbria dalla Scuola, cui segue il Servizio sanitario nazionale con quasi il 23 per cento; il complesso degli Enti locali si colloca poco sotto il 20 per cento. Complessivamente, questi tre macro-comparti assorbono quasi i tre quarti del pubblico impiego in Umbria.