La missione Rosetta dell’ESA ha finalmente trovato risposta a un dubbio di lunga data: all’interno della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko non sono presenti grandi cavità.
Le comete sono costituite dai resti ghiacciati lasciati dai pianeti in seguito alla loro formazione. A oggi sono otto le comete visitate da veicoli spaziali, e grazie alle preziose informazioni raccolte da queste missioni abbiamo un quadro più chiaro delle proprietà di base di queste capsule del tempo cosmiche. Ma se da un lato alcune domande hanno trovato risposta, dall’altro i dati hanno sollevato molti nuovi interrogativi.
Mosaico di immagini raccolte dalla camera di navigazione a bordo della sonda Rosetta tra agosto e novembre 2014. Crediti: ESA/Rosetta/NAVCAM
Per quanto ne sappiamo, ad esempio, le comete dovrebbero essere costituite da una miscela di polveri e ghiaccio. Con una composizione simile, un oggetto solido dovrebbe risultare più pesante dell’acqua. Tuttavia, le misure effettuate dimostrano che alcune comete hanno una densità estremamente bassa, molto inferiore a quella dell’acqua ghiacciata. Questo implica che le comete devono essere porose.
A questo punto la domanda diventa: la struttura interna della cometa presenta zone cave oppure al suo interno vi è una densità bassa e omogenea? In uno studio recente, pubblicato sul numero di questa settimana della rivista Nature, un team guidato da Martin Pätzold, del Rheinische Institut für Umweltforschung (EURAD) dell’Università di Colonia, ha dimostrato che la cometa 67P è un oggetto di bassa densità, per il quale è stato possibile escludere un interno ricco di cavità.
Questo risultato è coerente con quelli raccolti in precedenza dal radar CONSERT a bordo di Rosetta, che mostrano una sostanziale omogeneità della “testa” della cometa, almeno su scale spaziali di qualche decina di metri.
La spiegazione più ragionevole è quindi che la porosità sia una proprietà intrinseca delle particelle di polvere che, insieme al ghiaccio, compongono l’interno della cometa. Misure precedenti, effettuate da altre missioni spaziali, avevano dimostrato che la polvere cometaria non è solida e compatta, ma un aggregato “soffice”, e che questo conferisce alle particelle di polvere alta porosità e bassa densità. Gli strumenti COSIMA e GIADA (quest’ultimo con PI italiana: Alessandra Rotundi dell’Università “Parthenope” di Napoli e dell’INAF – Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali di Roma) a bordo di Rosetta hanno scoperto che sulla cometa 67P si possono trovare lo stesso tipo di grani di polvere.
Per effettuare la scoperta, il team guidato da Pätzold ha sfruttato dati provenienti dal Radio Science Experiment (RSI), che hanno permesso di studiare come interagiscono gravitazionalmente l’orbiter e la cometa.
«Legge di gravità di Newton ci dice che Rosetta subisce gli effetti gravitazionali di ogni corpo che la circonda», dice Martin Pätzold. «In termini pratici, questo significa che per calcolare con precisione la traiettoria della sonda abbiamo dovuto rimuovere l’influenza del Sole, di tutti i pianeti, così come dei più grandi asteroidi nella fascia principale, in modo che rimanesse solo il contributo dovuto alla cometa. Per fortuna questi effetti sono ben compresi e questa è una procedura standard al giorno d’oggi per le operazioni spaziali».
Successivamente sono stati sottratti la pressione della radiazione solare e l’effetto dovuto al gas espulso dalla cometa, poiché contribuiscono entrambi a portare la sonda fuori rotta. In questo caso, lo strumento ROSINA di Rosetta è stato estremamente utile, in quanto misura la pressione del flusso di gas che viene emesso dalla cometa.
Nell’immagine la New Norcia Station, l’antenna da 35 metri utilizzata dall’ESA per la comunicazione con le sonde che si trovano nello spazio profondo. La fotografia è stata scattata l’11 novembre 2014. Crediti: ESA
Qualunque variazione di traiettoria rimasta dopo tutte queste sottrazioni è per forza dovuta alla massa della cometa. La stima ottenuta per la massa di 67P è di poco meno di 10 miliardi di tonnellate. Le immagini ottenute dalla fotocamera OSIRIS sono state utilizzate per sviluppare modelli morfologici per il nucleo della cometa e indicano un volume come intorno a 18.7 km3, il che significa che la densità è pari a 533 kg/m3.
L’estrazione di questi dati è stata possibile grazie ad un vero e proprio colpo di fortuna. Considerando la mancanza di informazioni dettagliate circa l’attività della cometa, per garantire la sicurezza della sonda era stata programmata una traiettoria di approccio prudente, ovvero ad una distanza minima di 10 km dal nucleo.
Prima del 2014, però, sulla base di osservazioni da Terra, il team RSI aveva previsto che sarebbe stata necessaria una distanza inferiore ai 10 km per poter misurare la distribuzione interna della cometa. Questo sulla base di simulazioni che prevedevano una forma approssimativamente sferica del nucleo.
Poi, avvicinandosi alla cometa, è stato possibile evidenziarne la forma a due lobi. Questo significava che le differenze di campo gravitazionale sarebbero state molto più pronunciate del previsto, e quindi più facili da misurare anche a grandi distanze.
«Stavamo già riuscendo a rilevare le variazioni del campo gravitazionale da 30 km di distanza!», spiega Pätzold.
Quando Rosetta ha raggiunto l’orbita a 10 km di distanza dal nucleo, RSI è stato in grado di raccogliere informazioni dettagliate, e in futuro potremmo ottenere dati ancora più precisi.
A settembre, quando Rosetta verrà guidata verso un impatto controllato sulla superficie della cometa, la manovra fornirà condizioni osservative estremamente privilegiate per RSI. Questa potrebbe essere l’occasione per verificare la presenza di cavità arrivando ad una precisione di poche centinaia di metri.
Fonte: Media INAF | Scritto da Elisa Nichelli