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In
linea di principio può essere considerato «ben formato» ogni
aggettivo che intenda rappresentare un’abbondanza
di quantità o una pienezza di condizione di quanto è espresso dal
sostantivo dal cui deriva e cui a tal fine sia stato apposto il
suffisso «-oso». Non è un caso, tuttavia, se la lingua italiana
non conti più di 750 aggettivi di questo tipo, a fronte di un numero
di sostantivi che è almeno sei volte maggiore (a voler considerare
solo quelli d’uso
più comune, che secondo i vari Autori sarebbero tra i 42.000 e i 47.000): a una parola non basta l’essere
«ben formata» per trovare ragione di quella
frequenza,
di quella estensione e di quella persistenza d’uso
che la portano ad essere inclusa in un dizionario. Perché «la usino
tante persone e tante persone la capiscano» occorre che la sua
struttura semantica risponda a ben precise esigenze, prima fra tutte
una solida relazione tra il significante e il significato.
Questo è
il motivo per cui in ogni dizionario della lingua italiana troviamo
«peloso» per indicare qualcuno o qualcosa «con tanti peli», ma in
nessuno troviamo – chiedo scusa per il solo porgerlo ad esempio –
«pianetoso» per dire di un sistema solare in cui orbitino molti
pianeti. In questo caso, che poi è sostanzialmente analogo a quello
di «petaloso», per dire di un fiore che abbia tanti petali, a
rendere estremamente debole la relazione tra significante e
significato è la neutralizzazione dell’effetto
che si ritiene attivo nel suffisso «-oso»: neutralizzazione che procede dalla
natura stessa dell’oggetto
al quale si intende attribuire l’aggettivo, perché dove, se non su un fiore, è lecito attendersi dei petali? Dove, se
non in un sistema solare, ci aspettiamo di trovare dei pianeti? Di
più: è proprio di un fiore avere dei petali, è proprio di un
sistema solare avere dei pianeti. Certo, su un fiore potremo avere
pochi o molti petali, in un sistema solare potremo trovare pochi o
molti pianeti, ma in entrambi i casi ci troviamo dinanzi ad aggettivi
che non sono spendibili fuori dal contesto nel quale hanno preteso di
aver ragione di nascere, e non è necessario un grande sforzo di
intelletto per capire che perfino l’uso
metaforico risulta fortemente inibito: è questo che li condanna irreparabilmente all’oblio o li confina nell’idioletto di natura specialistica dal quale non hanno mai avuto la pretesa di uscire.
Non così per tutti gli
aggettivi che sfruttano il suffisso «-oso» che fin qui hanno
trovato accoglienza nei vocabolari della lingua italiana: in chiunque
potremmo trovare la pienezza del «coraggio» che lo rende
«coraggioso», e «peloso» potrà essere un uomo, un animale, uno
stomaco, un tappeto, un frutto, perfino quel particolare genere di
carità che impedisce di dire a una maestrina quanto sia cretina, spiegandole che anche dietro l’apparente follia che porta certi neologismi sulle pagine del Treccani, del Devoto-Oli o dello Zingarelli c’è una ratio che ne spiega la fortuna nel nodo tra struttura e funzione. Nodo così stringente da consentire di trarne regola: più fortunato è un neologismo, meno si è in grado di risalire con certezza a chi l’abbia coniato.
Questo, sul cuore della questione. Su tutto quanto in questi giorni
ha fatto bozzolo attorno la vicenda che l’ha
sollevata, c’è
Parsifal che ha scritto un post nel quale leggo così nitidamente le
mie stesse impressioni che riportarne qui i passi salienti mi risparmia altra fatica: «Un bambino si inventa la parola “petaloso”, per
indicare un fiore che ha molti petali. È normale: i bambini, mentre
imparano l’italiano (ammesso che lo facciano ancora), si inventano
delle parole. La norma vorrebbe che gli insegnanti, con dolcezza,
correggano questa tendenza e insegnino a riconoscere le parole “vere”
da quelle inventate. La maestra del bimbo in questione, invece,
evidentemente mossa da smania per i venti minuti di fama,
nientepopodimeno scrive alla Crusca e sottopone la nuova parola alla
sua attenzione. Siccome anche alla Crusca non sono più quelli di una
volta, si prendono il tempo di rispondere. La parola è tecnicamente
ben formata, dicono, e per entrare nel vocabolario basta che la usino
in molti. A questo punto entra in gioco il terzo fesso, quello
collettivo: l’utente Twitter, e in “centinaia” (ma presto
saranno migliaia) stanno re-twittando “petaloso” per farlo
diventare popolare» (*).
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