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«Petaloso»

Creato il 26 febbraio 2016 da Malvino
In linea di principio può essere considerato «ben formato» ogni aggettivo che intenda rappresentare un’abbondanza di quantità o una pienezza di condizione di quanto è espresso dal sostantivo dal cui deriva e cui a tal fine sia stato apposto il suffisso «-oso». Non è un caso, tuttavia, se la lingua italiana non conti più di 750 aggettivi di questo tipo, a fronte di un numero di sostantivi che è almeno sei volte maggiore (a voler considerare solo quelli d’uso più comune, che secondo i vari Autori sarebbero tra i 42.000 e i 47.000): a una parola non basta l’essere «ben formata» per trovare ragione di quella frequenza, di quella estensione e di quella persistenza d’uso che la portano ad essere inclusa in un dizionario. Perché «la usino tante persone e tante persone la capiscano» occorre che la sua struttura semantica risponda a ben precise esigenze, prima fra tutte una solida relazione tra il significante e il significato. Questo è il motivo per cui in ogni dizionario della lingua italiana troviamo «peloso» per indicare qualcuno o qualcosa «con tanti peli», ma in nessuno troviamo – chiedo scusa per il solo porgerlo ad esempio – «pianetoso» per dire di un sistema solare in cui orbitino molti pianeti. In questo caso, che poi è sostanzialmente analogo a quello di «petaloso», per dire di un fiore che abbia tanti petali, a rendere estremamente debole la relazione tra significante e significato è la neutralizzazione dell’effetto che si ritiene attivo nel suffisso «-oso»: neutralizzazione che procede dalla natura stessa dell’oggetto al quale si intende attribuire l’aggettivo, perché dove, se non su un fiore, è lecito attendersi dei petali? Dove, se non in un sistema solare, ci aspettiamo di trovare dei pianeti? Di più: è proprio di un fiore avere dei petali, è proprio di un sistema solare avere dei pianeti. Certo, su un fiore potremo avere pochi o molti petali, in un sistema solare potremo trovare pochi o molti pianeti, ma in entrambi i casi ci troviamo dinanzi ad aggettivi che non sono spendibili fuori dal contesto nel quale hanno preteso di aver ragione di nascere, e non è necessario un grande sforzo di intelletto per capire che perfino l’uso metaforico risulta fortemente inibito: è questo che li condanna irreparabilmente alloblio o li confina nell’idioletto di natura specialistica dal quale non hanno mai avuto la pretesa di uscire. Non così per tutti gli aggettivi che sfruttano il suffisso «-oso» che fin qui hanno trovato accoglienza nei vocabolari della lingua italiana: in chiunque potremmo trovare la pienezza del «coraggio» che lo rende «coraggioso», e «peloso» potrà essere un uomo, un animale, uno stomaco, un tappeto, un frutto, perfino quel particolare genere di carità che impedisce di dire a una maestrina quanto sia cretina, spiegandole che anche dietro l’apparente follia che porta certi neologismi sulle pagine del Treccani, del Devoto-Oli o dello Zingarelli c’è una ratio che ne spiega la fortuna nel nodo tra struttura e funzione. Nodo così stringente da consentire di trarne regola: più fortunato è un neologismo, meno si è in grado di risalire con certezza a chi labbia coniato. Questo, sul cuore della questione. Su tutto quanto in questi giorni ha fatto bozzolo attorno la vicenda che lha sollevata, cè Parsifal che ha scritto un post nel quale leggo così nitidamente le mie stesse impressioni che riportarne qui i passi salienti mi risparmia altra fatica: «Un bambino si inventa la parola “petaloso”, per indicare un fiore che ha molti petali. È normale: i bambini, mentre imparano l’italiano (ammesso che lo facciano ancora), si inventano delle parole. La norma vorrebbe che gli insegnanti, con dolcezza, correggano questa tendenza e insegnino a riconoscere le parole “vere” da quelle inventate. La maestra del bimbo in questione, invece, evidentemente mossa da smania per i venti minuti di fama, nientepopodimeno scrive alla Crusca e sottopone la nuova parola alla sua attenzione. Siccome anche alla Crusca non sono più quelli di una volta, si prendono il tempo di rispondere. La parola è tecnicamente ben formata, dicono, e per entrare nel vocabolario basta che la usino in molti. A questo punto entra in gioco il terzo fesso, quello collettivo: l’utente Twitter, e in “centinaia” (ma presto saranno migliaia) stanno re-twittando “petaloso” per farlo diventare popolare» (*). 

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