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Peter Cincotti: una Città per Cantare

Creato il 24 maggio 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Carola Lavagna Moro 24 maggio 2013 Peter Cincotti: una Città per Cantare

Peter Cincotti, apprezzato cantante e musicista jazz di origini italiane, ha recentemente portato il suo tour in Italia per presentare la versione “live” del suo ultimo album, Metropolis, uscito lo scorso anno. L’artista, affermato talento nel panorama internazionale, è tornato nel nostro paese ad aprile (Padova, Roma e Napoli le città visitate), dopo la piccola parentesi sanremese che l’aveva visto salire sul palco dell”Ariston insieme a Simona Molinari. Il cantante si è dimostrato ormai pronto a conquistare un vasto pubblico, grazie alle sue capacità di pianista e alla sua curiosità nei confronti di diversi tipi di musica; fattore che lo ha portato a confrontarsi con rock, pop, funky, elettronica, jazz e classica, generi tutti condensati nella sua ultima fatica discografica. Metropolis è una città musicale, una metropoli osservata con una melodia di sottofondo. Un film che narra una sintesi di emozioni: storie di individui, con i loro sentimenti, le loro diversità, descritti e personalizzati spaziando fra diversi modi di far musica. Cincotti mette l’ascoltatore davanti ai pensieri più profondi, agli slanci e agli sbalzi d’umore di personaggi comuni con vite comuni. Dodici tracce e altrettanti protagonisti che vivono in simultaneità e rivelano la grande capacità di osservazione e di introspezione del cantante in questo progetto composito e ritrattistico. Metropolis, la prima traccia del disco, è una sorta di crescendo emotivo ed elogio di una città che fa da palcoscenico. Un inizio da opera lirica dettato da influenze che rimandano ai Muse e ai Queen per l’imponente scelta strumentale. La voce di Cincotti si miscela e viene incorniciata dalla maestosa musicalità, fra suoni vintage conditi da archi e melodie dai tratti elettronici decisamente più contemporanee.

Peter Cincotti: una Città per Cantare

Ogni parte della città è metafora dell’uomo stesso, espresso con indiscussa abilità in Graffiti Wall. La visione globale della città convulsa ed esagitata in Nothing’s Enough viene consumata fra suoni elettronici e funky non rinunciando però ad omologazioni dove ancora il funky abbraccia un sound che si fa decisamente pop. Ogni brano è concatenato all’altro, legato da un fil rouge, come se i personaggi si scontrassero per strada e trovassero spazio sullo spartito. Questo lavoro tratta temi universali con una città che è uguale a tutte le altre, dove l’amore è affrontato in maniera capillare ma ancora sublime. L’amore è scoperta in My Religion, pop che sa di revival, che ha quasi il gusto del musical. Teatrale nel testo e nell’aspirazione scenica, il brano allude alla rinascita dell’uomo che, dal momento in cui questa avviene, si libera da ogni turbamento e affronta il male della vita con nuova speranza proprio grazie al più forte dei sentimenti. L’amore è sofferenza come in Madeline, pensieri notturni di un uomo immobile che, nel pezzo più struggente e carico di pàthos, soffre per la sua incapacità di azione davanti a rimorsi e rimpianti. L’amore è differenza che avvicina, come nella traccia rock Fit You Better. L’amore è quotidianità, ma soprattutto è schiavo del tempo. Proprio questo secondo fattore, il tempo, fa spesso capolino. Tenendo conto che la città è il luogo del caos, dell’indeterminatezza e della frenesia, tutto ciò è espresso chiaramente in World Gone Crazy o in Do Or Die che, con il suo ritmo incalzante, descrive e canta il mutamento perpetuo e la ripetitività della vita cittadina. L’uomo corre su questa base di pianoforte pop, tachicardico, appeso a una scelta; soffre per il rischio di perdere l’occasione giusta perché schiava di un tempismo nemico.

Peter Cincotti: una Città per Cantare

Diverso da tutti gli altri è Forever And Always, il brano più riuscito dell’album e il più vicino al Cincotti che siamo abituati ad ascoltare. Ci riporta a un punto di partenza, cantando di un personaggio che sembra irrimediabilmente più vicino a Peter. Lo presenta su una base ritmata più classica e riconoscibile nelle sue corde, alla Elton John, quasi a chiudere il circolo delle biografie con la sua visione personale di vita nella “Metropolis”. Scelta azzardata e per questo coraggiosa, quella di Cincotti che, abbandonando il campo jazz a lui più congeniale, ha permesso alla sua sensibilità di manifestarsi prepotentemente, risultando un ottimo osservatore e traduttore di sentimenti, paesaggi e ritratti in musica.

Peter Cincotti: una Città per Cantare


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