Peter Hook + Kites: Unknown Pleasures alla Scala

Creato il 24 aprile 2011 da Figurehead @figureheadblog


Peter Hook, accompagnato dai the Light, sta portando in giro un tour chiamato Unknow Pleasures. Imperdibile occasione per nostalgici, mi ritrovo con i soliti sospetti al Lexington per due birre di riscaldamento prima del concerto. Alle otto ci facciamo prendere dal panico e, nonostante io e Takeshi siamo serenamente listati per entrare gratis e saltare le code, corriamo alla Scala, giá teatro di un altro momento nostalgico.

I primi gruppi sono scandalosi, un’accozzaglia rumorosa da festa di fine anno al liceo, e ci fanno rimpiangere le poltrone e la musica diffusa al Lexington. Finalmente, dopo due ore di strazio, salgono sul palco i Kites a risollevare il tenore della serata. Sono bravi, suonano bene, non sbagliano un colpo e si vede che hanno la stoffa per stare lí dove sono ma, purtroppo, ci vuole ben altro che loro per risvegliare il pubblico intorpidito, che inizia a reagire con entusiasmo solo sulle ultime due canzoni, tra cui la bella The Disappearance of Becky Sharp.

Inizia la fremente attesa per Peter Hook and the Lights. Noto giá due amplificatori per basso piú grandi del mio frigorifero che mi fanno ben sperare. Immagino che Hook suonerá i riff piú storici mentre l’altro bassista fará il lavoro sporco mentre lui canta. Purtroppo tutta l’eccitazione si spegne sul primo pezzo. Due parole: spettacolo patetico. 
Basta poco per capire che Peter Hook sta facendo soldi sulla pelle di gente morta e dei sogni di ragazzi che scoprirono con la musica dei Joy Division un piccolo universo. Il basso che si porta a tracolla quasi nemmeno lo tocca, solo un ingombrante ciondolo al collo. Almeno finché sul palco sale una cantante R&B (stando a quanto dice Takeshisi tratta di Rowetta, cantante che ha nel suo curriculum gli Happy Mondays ma anche X-Factor). Una cosa insopportabile. Una cover band. Un karaoke. Mentre scrivo queste parole, seduto ad un divanetto, stanno suonando, o meglio violentando, She’s Lost Control suonata a doppia velocitá, e io sono a malapena protetto dall’atmosfera ovattata di questo bar con un pannello di vetro che mi separa dallo scempio.

Il bello dei Joy Division é che suonando senza particolare bravura tecnica riuscivano ad esprimere le loro emozioni con una brutalitá diretta e immediata mai vista prima. Cosa ben diversa dai bravi professionisti che suonavano sul palco ieri sera, e da Peter Hook che cantava come fosse Bon Jovi allo stadio.

Torno a casa di malumore, stappo una birra e metto su Unknown Pleasure. Forse questo mi aspettavo, semplicemente il disco suonato dall’inizio alla fine tale e quale con uno storico membro della band che celebrava la morte di un amico. E di una band.


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