E’ sorprendente leggere, sui Media cartacei ed on line, titoli, che rasentano il panico quali “Allarme carburanti: nel 2067 niente più distributori, il petrolio sarà esaurito!“. Verrebbe da dire “Embe? Ce ne occuperemo tra mezzo secolo”, nella speranza che nel frattempo siano state, finalmente, sviluppate energie alternative credibili ed ecologiche e che anzi questo allarmismo da operetta (che un poco puzza, come vedremo oltre) serva da stimolo per nuove invenzioni e strategie.
Un dato del genere è però sospetto: “sirene” simili sono state ripetutamente attivate in questi ultimi anni, quasi si trattasse di un mantra ipnotico, al fine di convincere della bontà di nuovi metodi estrattivi, quali il fracking (messo al bando in alcuni stati USA perché connesso in qualche modo con l’aumento dei terremoti) oppure di nuove zone da scandagliare, magari in paradisi ecologici intoccati verso i Poli o nelle profondità oceaniche.
Chi ha fatto rintoccare la campana a morto per benzina, petrolio e distributori? Si tratta della British Petroleum (non quindi un’agenzia indipendente, ma una molto interessata compagnia petrolifera) il cui studio rileverebbe – e scusate il condizionale – che le riserve mondiali di petrolio, comprensive anche di gas e “condensati” saranno sufficienti “solo” per altri 53 anni. Le riserve accertate (dalla BP, appunto) alla fine dello scorso anno si aggirano sui 1.687,9 miliardi di barili, sufficienti a coprire la domanda globale per un paio di generazioni, sebbene i consumi siano cresciuti dell’1,4% nel 2013 rispetto alla produzione (+0,6%).
E’ probabile che il fatidico peak oil sia stato superato, ma se ci si affida esclusivamente a modelli che prevedono che la contrazione estrattiva del petrolio, una volta raggiunto il picco, sia molto più rapida della crescita dell’estrazione avvenuta nel XX secolo, il gioco al sensazionalismo ha facile presa e di conseguenza è più semplice pilotare l’opinione pubblica.
Meno discutibile il dato che i consumi siano aumentati, soprattutto in paesi quali Cina, India e Stati Uniti (che sono tornati, recentemente, ad essere i principali consumatori di benzina proprio davanti alla Cina).
Sta di fatto comunque che “un paio di generazioni” non vengono domani o dopodomani. Ci sarebbe (e ci sarà) tutto il tempo per svincolarsi dal tallone del petrolio e della sua fine. Se lo si vuole, s’intende.
A chiudere il cerchio della poca chiarezza della ricerca recente della BP va notato che la stessa British Petroleum, appena nel 2010, aveva comunicato dati più dettagliati che indicavano il numero di anni entro il quale si riteneva dovessero esaurirsi i giacimenti di petrolio dei paesi produttori.
Arabia Saudita: 66 anni, Iran: 87 anni, Iraq: 157 anni, Kuwait: 103 anni, Emirati Arabi Uniti: 90 anni, Venezuela: 78 anni, Russia: 22 anni, Libia: 62 anni, Kazakhstan: 76 anni, Nigeria: 40 anni, USA: 12 anni, Canada: 15 anni, Cina: 12 anni, Qatar: 37 anni, Messico: 10 anni, Algeria: 17 anni, Brasile: 19 anni, Angola: 18 anni, Norvegia: 8 anni, Azerbaijan: 29 anni.
Così, ad occhio, la media non fa 53 anni.
Comunque, se i dati fossero autentici, se non altro sapremmo in anticipo dove verranno condotte (o si continueranno a condurre) le prossime guerre/”rivoluzioni”/colpi di stato per il controllo del greggio.
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